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La storia di Nicola: da un «possibile fallimento» ad una grande ascesa con un lavoro negli Usa

Il 26enne, ingegnere, a breve si trasferirà negli Usa per lavorare sulla ricerca e lo sviluppo di tecnologia d'avanguardia

La storia di Nicola: da un «possibile fallimento» ad una grande ascesa con un lavoro negli Usa
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I sogni si possono anche realizzare, ma servono impegno, costanza, sacrificio e soprattutto saper ripartire dalle cadute, che non sono necessariamente una sconfitta, ma rappresentano la possibilità di trasformare un problema in opportunità. Questa è la storia di Nicola Gagliazzi, 26enne dellese, un esempio da seguire, attraverso una storia fatta di tentativi guidata dalla forza di volontà, di grandi capacità con l'obiettivo di puntare sempre in alto. Nel suo caso, agli Usa.

Protagonista di questa storia, che ha il tema cardine del fallimento (poi superato) il dellese Nicola Gagliazzi, che ha raccontato la sua esperienza in occasione della cerimonia di consegna delle borse di studio a Barbariga.

«Cervello in fuga» negli Usa: la storia di Nicola

"Non mi è mai piaciuta troppo la scuola e non sono mai stato un ottimo studente. Quando ero bambino passavo poco tempo sui libri, i miei genitori erano operai e lavoravano fino a tardi. Io stavo dai miei nonni dove mi piaceva stare nei campi col mio cane e giocare a inventare cose nuove utilizzando qualche asse e chiodi. La sera tornavo a casa e mio padre mi faceva studiare e ripetere la lezione finché non la sapevo a memoria per l' interrogazione. Arrivata la scelta della scuola superiore, controvoglia mi sono iscritto all’Itis indirizzo elettronico. All'epoca non avevo la minima idea di cosa fosse l'elettronica. All'inizio avrei voluto fare il liceo artistico dato che mi piaceva dipingere, ma insegnanti e parenti date le mie scarse attitudini mi hanno fatto ripiegare sul tecnico. All'Itis alla fine mi sono appassionato all’elettronica, ma fino alla quarta superiore non avevo idea di cosa fare della mia vita. Durante quell'estate ho fatto uno stage in un ufficio tecnico così da migliorare il mio curriculum per un futuro lavoro in quell'ambito. Qui per la prima volta ho visto il lavoro di un ingegnere e ne sino rimasto colpito: la capacità di vedere innovazioni dal nulla. Ripensando a ciò che mi piaceva fare da bambino, cioè di inventare e costruire, e dopo l'esperienza di stage, ho deciso di voler diventare un ingegnere".

L'ambizione

"In quel periodo ho iniziato a pensare in grande e in me è iniziata a crescere l’ambizione. Per questo motivo ho deciso di iscrivermi alla miglior università in Italia: Il politecnico di Milano. E se non bastasse a una delle facoltà più difficile: ingegneria fisica. Cosi dopo il diploma a 19 anni mi sono trasferito a Milano. Quasi tutti i miei colleghi di università avevano fatto il liceo scientifico. In corso eravamo circa 200. In breve tempo mi sono accorto di essere uno di quelli con meno chance di arrivare alla fine del corso di studi e laurearmi. I primi esami furono difficilissimi, la differnza con l’Itis era enorme. Ad ogni esame fallito sentivo il desiderio di mollare tutto. Nonostante questo sono riuscito con molta fatica a finire l’anno senza esami non dati. Anno dopo anno è andata sempre meglio fino alla laure triennale in ingegneria fisica. Di 200 siamo arrivati in 20 a laurearci nella prima sessione di laurea disponibile. L’inizio in magistrale è stato molto difficle. Dopo la laurea ho fatto l’errore di sentirmi arrivato, di non dover più dimostrare nulla e di essere uno degli studenti più bravi. Il primo semestre del primo anno di magistale è stato un incubo: ho passato circa la meta’ degli esami. Poi il covid non ha aiutato. Anche il secondo semestre è andato male, ho finito l anno con la metà degli esami non passati. Anche li la voglia di mollare e’ stata tantissima. Ho pensato che stavo solo buttando i soldi dei miei genitori e che era l'ora di ammettere di aver scelto una scuola troppo complessa e di cercare lavoro. Dopo qualche giorno di ripensamento mi sono ricordato quello che era il mio obiettivo. Volevo diventare un ingegnere. L'anno successivo ho finito tutti gli esami mancanti e quelli di quell'anno. Ho iniziato la tesi come intern in un azienda di semiconduttori nel reparto di ricerca e sviluppo. Qua ho iniziato a fare il lavoro dei miei sogni. Alla fine mi sono laureato in magistrale in ingegneria fisica (physics engineering dato che il corso di studi è in inglese).

Il lavoro dei sogni

"Sono stato assunto in quell'azienda, qui lavoro sulla ricerca e lo sviluppo di tecnologia d'avanguardia (cutting-edge tecnology). A settembre mi sono sposato. Tra un mese io e mia moglie ci trasferiremo negli Stati Uniti, nel quartier generale dell' azienda. Una delle poche cose che questa storia potrà passare, è l'importanza del fallimento. Viviamo in una società che esalta chi non commette errori. Io penso che alla nostra età chi non commette errori non è bravo, ma semplicemente è intrappolato nella sua comfort zone. Chi è davvero bravo sposta il suo obiettivo al di là dei suoi limiti, e una volta che l'ha raggiunto lo sposta ancora e ancora. Questo è l'unico modo di crescere. Sicuramente avere obbiettivi ambiziosi all'inizio porterà al fallimento, ma il segreto è continuare a provarci avendo bene in mente dove si vuole arrivare e con l'umiltà non non sentirsi mai arrivati fino in fondo".

Un viaggio di sola andata per gli Usa

"Ho sempre cercato di imparare dai migliori. Dove impare di semiconduttori sennò là dove tutto è nato? Andy Grove si trasferì dell'Ungheria e diventò uno dei più importanti CEO di Intel. Federico Faggin dall'Italia e inventó il primo microprocessore. Forse sono un sognatore ma mi piace pensare che in Usa troverò quello che hanno trovato loro: idee. La Silicon Valley è gli Usa in generale non sono più quelli degli anni 70/80, ma penso ci sia molto laggiù ancora da imparare. Non mi sono mai posto limiti. Quando ho capito cosa volevo fare della mia vita mi sono trasferito a Milano perché li c'è l'università migliore. A Milano sono venuto a contatto con molte persone che mi hanno fatto crescere personalmente e culturalmente. La scelta degli Stati uniti la vedo un pó come quella di Milano ma più in grande. Voglio che mi faccia crescere ancora di più come uomo e come ingegnere. Stati uniti vuol dire mix di culture e punti si vista diversi. Diversi modi di interpretare e vedere il mio lavoro. Gli Stati Uniti sono solo un altro passo, c'è tanto nel Mondo che potrà permettere di migliorare e imparare. Finché magari un giorno tornerò in Italia per portare quello che ho imparato, un pó come prima Camillo e poi Adriano Olivetti, anche se il paragone è eccessivo. Gli Stati Uniti per me sono qualcosa di nuovo, e mai visto fino qualche settimana fa. Io le cose nuove e interessanti che possono portarmi qualcosa di positivo nella mia vita e in quella della mia famiglia le voglio vedere, al di là delle distanze e dei problemi. Penso che a 26 anni sia questo il modo giusto di pensare alle cose, senza limiti. Sarà l'età che prima o poi me li mostrerà, fino ad allora ho tanti progetti".

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