Chiari

L'appello di Marta Chioda all'assessore Bertolaso: "Faccia ritornare la Sanità davvero pubblica"

La giovane, malata di sclerosi multipla, si è rivolta all'assessore al Welfare per fare luce sulle lunghe liste d'attesa, il dispendio economico e molto altro ancora dovuto dalle falle del sistema

L'appello di Marta Chioda all'assessore Bertolaso: "Faccia ritornare la Sanità davvero pubblica"
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di Federica Gisonna

Un ritorno a una sanità davvero pubblica, dove non «vince» chi paga. Dove la burocrazia non è un ulteriore ostacolo per chi già ha una malattia, ma soprattutto dove nessuno è costretto ad arrendersi perché per ragioni economiche, o per lunghe liste d’attesa, rinunciare alle cure risulta più facile.

L'appello di Marta Chioda all'assessore Bertolaso

Così, la giovane Marta Chioda, alla quale dopo la diagnosi era stata "promessa" una "vita normale", stufa delle logoranti attese, dei continui esborsi e di tutte le falle in un sistema che proprio non funziona, ha deciso di rivolgersi direttamente all’assessore al Welfare di Regione Lombardia, Guido Bertolaso. La prima mail è stata inviata ad agosto. Di ottobre è, invece, il primo sollecito, mentre risale all’8 gennaio il terzo scritto. E nel frattempo, le spese sono aumentate, così come le difficoltà di prenotare un appuntamento o, banalmente, di fare fisioterapia nella struttura che ormai le sta a cuore, vicino casa, e che fino ad ora le aveva permesso di conciliare le sedute con il lavoro. Al momento, la 34enne non ha ancora ricevuto alcuna risposta.

Ho pensato di rivolgermi all’assessore Bertolaso in quanto a capo della Sanità Lombarda perché stufa di una situazione che non fa altro che peggiorare. Quando mi è stata diagnosticata la sclerosi multipla, quasi tre anni fa, mi era stato detto che avrei potuto continuare ad avere una vita normale. Ma così non è. E questo è devastante. Ho scelto di passare ad un part time per poter conciliare lavoro (amo essere un'insegnante e sono fortunata perché mi sento compresa dalla mia scuola), cure e fisioterapia. Passo ore al telefono per visite che mi spettano di diritto e che si dovrebbero prenotare solo con un clic. Ho continui esborsi economici perché talvolta non basta l’esenzione (come nei casi di vitamine e integratori, ndr) o le liste d’attesa sono troppo lunghe e dunque mi vedo costretta, per non peggiorare, a ricorrere a medici privati. Per non parlare poi della fisioterapia, per me fondamentale, che è davvero onerosa. Ci troviamo davanti ad un sistema inadempiente, dove manca il supporto dei malati che seppur non hanno scelto la malattia, si vedono sempre più esclusi dalla comunità. Più soli. Vorrei che le cose cambiassero. Per me stessa, certo. Ma anche per tutti coloro che non hanno nemmeno più la forza di lottare per una società civile e attenta ai bisogno di tutti, soprattutto dei più fragili.

La corrispondenza

Così, ad agosto, è iniziata la corrispondenza:

Gentile dottor Bertolaso, ho necessità che le arrivi questo mio scritto nella speranza che possa fare qualcosa e che le cose cambino - ha ribadito - Perché continuo ad avere fiducia nel domani e nel cambiamento. Mi presento: sono Marta Chioda, ho 33 anni, vivo nella provincia di Brescia e da due anni mi è stata diagnosticata la sclerosi multipla. Può immaginare come la mia vita, e quella di chi mi sta vicino, sia stata stravolta. Non le rubo tempo raccontandole il forte esordio e la mia esperienza di 50 giorni, in pieno periodo Covid.

Poi le perplessità riguardanti il funzionamento del sistema che, ancor più per chi ha una malattia cronica, presenta numerose falle.

Mi preme raccontarle cosa vivo in prima persona la maggior parte delle volte in cui necessito del sistema sanitario nazionale. Premetto di poter affermare che ho la fortuna di avere l'appoggio della mia famiglia, un medico di base presente e competente, essere seguita, per la sclerosi multipla, in un centro (sito nell'ospedale di Chiari) in cui la persona viene messa al centro. Questa puntualizzazione è doverosa, ma in un mondo ideale, me lo conceda, dovrebbe essere l'ordinarietà. Come dovrebbe essere ordinario poter trovare posto, celermente, nelle strutture sanitarie, senza dover aspettare mesi e mesi per un esame o per una visita e senza dover ricorrere alle prestazioni a pagamento. Trascorro ore e ore al telefono, cercando di fissare appuntamenti, con le impegnative mediche o privatamente, alla ricerca delle disponibilità più vicine.Tutto questo è frustrante, mi creda. E, nella mia condizione di malata, forse lo è ancora di più. Avendo la sclerosi multipla, mi è possibile svolgere fisioterapia, tramite il sistema sanitario, per alcune sedute. Ma poi? Poi, di nuovo, privatamente. È assurdo. Mi spiego: se facessi fisioterapia per dolori temporanei, converrei con la fine delle terapie, una volta ottenuto il progresso; ma la sclerosi multipla non si ferma. Mai. Sulla carta che attesta l’esenzione per patologia, leggo “validità illimitata”. Perché è sì inguaribile, ma non è incurabile. Oltre alla cura farmacologica che ricevo in ospedale, per me è importantissimo fare fisioterapia. Vedo miglioramenti, mi sento meglio. Perché, allora, sono costretta a cicli mutuabili temporanei, e non continui? Non è giusto che sia costretta a pagare, tra un ciclo e l’altro, perché non ho scelto di avere la malattia. Ma ho diritto a essere curata, sempre, e non a intermittenza.

Nella mail, inoltre, sono state fatte ulteriori precisazioni:

Rileggendo la Carta Europea dei Diritti del Malato, vedo tante belle parole. Molte delle quali rimangono, però, solo parole. Come il diritto “a ricevere i necessari trattamenti in tempi brevi e predeterminati”. Come il diritto “ad evitare quanta più sofferenza possibile”. Le assicuro che già convivere con la malattia sia una grande sofferenza continua, nonostante la mia forza di volontà e la mia spinta a reagire. Perché aggiungere altri dolori? Mi sento, spesso, impotente nella giungla burocratica. Senza l’appoggio delle Istituzioni. Come posso cercare di riappropriarmi della mia quotidianità se sono costretta costantemente a sbattere la testa contro muri di attese, di appuntamenti introvabili e di infinite preoccupazioni?.

Infine, l’auspicio in un cambiamento:

So che a fare la differenza, spesso, sono le persone, soprattutto in un ambiente delicato come quello sanitario (e ringrazio tutte le persone che, a vario titolo, si sono prese cura di me come persona, prima che di me come malata), ma se la macchina burocratica funzionasse meglio, sarebbe davvero un mondo migliore. Sarò un’illusa, Dottor Bertolaso, a credere che le cose prima o poi possano cambiare. Ma, almeno la speranza, non voglio che mi venga portata via.

Poi, una ulteriore «batosta», la diminuzione della fisioterapia che l’ha messa ancor più in difficoltà.

«Dopo aver effettuato una visita fisiatrica (sul cui referto si legge che nei periodi di sospensione della fisioterapia si accentuano l'affaticamento precoce e i dolori), mi sono state prescritte 30 sedute da effettuare con il Sistema sanitario. Ho scoperto, però, che ci sono stati dei cambiamenti nelle direttive della struttura, a cui mi sono rivolta già in passato e in cui mi sono sempre trovata molto bene, e che non potrò più avere sedute da 45/50 minuti, ma da 30 minuti e che non ci sarà più la possibilità di un rinnovo "implicito". Al termine delle sedute prescritte, che indicativamente inizierò a dicembre/gennaio, dovrò ricominciare l'iter: farmi prescrivere la visita fisiatrica, mettermi in attesa della stessa e, poi, di nuovo in attesa delle sedute di riabilitazione. Mi sembra assurdo. A maggior ragione per un paziente con una malattia degenerativa, come la mia. Nella carta che attesta l'esenzione per patologia, leggo "validità illimitata": non guarirò mai, ma posso cercare di avere una buona qualità della vita. Anche con l'aiuto della fisioterapia. Mi sono rivolta all’Urp e mi è stato risposto che vi sono delle motivazioni alla base della loro scelta, scelta che non deriva da indicazioni regionali, ma dal fatto che la Regione assegni loro un determinato budget da distribuire nell'arco dell'anno e che sono tenuti a rispettare. Pertanto in un sistema di questo tipo, il numero delle prestazioni che possono erogare nel corso dell'anno non è illimitato. Questo comporta che si creino delle liste d'attesa. Per dare la possibilità a tutti gli utenti che si presentano di accedere ai trattamenti, hanno pensato di mettere in atto scelte come quella sopra espressa, sottolineando come scelte che appaiono ingiuste al singolo vadano a vantaggio a un maggior numero di pazienti. A livello matematico, il ragionamento non fa una piega, ma a mio avviso non è stato preso in considerazione il fatto che su certe prestazioni si possano attuare modifiche, ma su sedute di fisioterapia per pazienti cronici (si noti il plurale, non il singolare!), la riduzione sia davvero problematica. Già è triste che non si pensi davvero a una fisioterapia continuativa, soprattutto se il paziente reagisce bene. Sono dell'idea che sia meglio prevenire che aspettare una ricaduta. Le riflessioni le ho condivise anche con la struttura. Potrei provare a rivolgermi altrove, ma non sarebbe giusto: mi sono sempre trovata molto bene, ho visto miglioramenti ed è vicino a casa. So che le mie mail, spesso, sono scomode, ma ignorare un problema non significa risolverlo. Anzi. La Sanità pubblica è da salvaguardare. La salute è un diritto di e per tutti. Nel solo mese di agosto ho pagato 500 euro di fisioterapia privata. Non è giusto, dottor Bertolaso. Si metta nei miei panni e, ancor di più, nei panni di chi non può permettersi di ricorrere alle prestazioni a pagamento».

A questa è stata anche allegata la fattura dei pagamenti della fisioterapia.

Uno sfogo per se stessa, ma anche per chi, invece, non ha ne la forza, ne il coraggio di lottare. Così, l’ultimo scritto, quello di una persona sfinita.

Le scrivo, ancora, nella speranza di ricevere una risposta perché, come racchiuso in un saggio detto popolare, “domandare è lecito, rispondere è cortesia”. E io, forse da illusa, credo nella cortesia. Immagino riceva svariate mail e abbia l’agenda piena di impegni, ma da agosto ad oggi mi sarei aspettata un riscontro. Scrivere alle Istituzioni, e Lei è il rappresentante della Regione nell’ambito delle fragilità, e non ottenere risposte è frustrante. Mi fa sentire sola e, peggio ancora, sottolinea il peso della mia malattia. Le scrivo, di nuovo, perché sono sfinita. Sono sfinita di mettere mano al portafoglio per ricorrere alla fisioterapia privata, a fronte di una malattia degenerativa. Sono sfinita delle liste d’attesa, lunghissime. Sono sfinita di vedere la sanità pubblica andare in frantumi. Non è giusto. Dottor Bertolaso, io non ho scelto di avere una malattia, ma Lei ha scelto di mettersi in politica, accettando di ricoprire un ruolo importante e delicato. Per favore, intervenga. Faccia ritornare la sanità pubblica davvero pubblica o, se si è deciso di cambiare rotta, lo si dichiari apertamente! Questa situazione di limbo e di incertezza crea confusione e malumori. Non è normale cercare di prenotare una visita con il SSN e sentirsi dire “non c’è posto fino al 2025!”. Non è normale non pensare a cicli continuativi di fisioterapia per le persone con malattie croniche e degenerative. Non è normale che tutto questo stia diventando “normale”. Si metta nei panni di una persona con una malattia: provi a percepire il dolore che già grava fuori e dentro la pelle, a questo aggiunga le preoccupazioni di non poter ricevere le cure (nel mio caso la fisioterapia) in tempi brevi e i continui calcoli per riuscire a pagare le prestazioni private. Come se non bastasse, ci sono le infinite attese per essere visti o visitati. Tutto questo non dovrebbe accadere in una società civile e inclusiva.

In conclusione, un pensiero a chi, invece, in prima linea c’è sempre.

Mi si permetta, infine, un’ultima considerazione. Ho a che fare con diversi medici, infermieri e fisioterapisti. Sono meravigliosi. Si prendono cura di me con professionalità e dedizione, con empatia e attenzione. Cercano di rendere meno faticoso il mio percorso. Sorridono e hanno parole di incoraggiamento. Ma se si legge oltre e se si ascoltano i loro sguardi, si vedono sacrifici continui, turni infiniti e molta stanchezza. Non si può fare qualcosa anche per loro? Perché non metterli nelle condizioni ottimali di lavoro? Forse le mie mail non cambieranno le cose. Ma almeno so di averci provato. La malattia mi toglie tanto, ma non la speranza.

E chissà che, davvero, non possano arrivare miglioramenti e risposte. La speranza è l’ultima a morire.

La storia

Marta Chioda è nata il 12 dicembre del 1989 a Brescia. Nella notte prima di Santa Lucia. Figlia di Pierangelo Chioda e Alida Potieri, attuale sindaco, è cresciuta a Comezzano - Cizzago. Dal 2017 è sposata con Thomas Goffi e, insieme, vivono a Chiari.

Laureata con lode in Filologia moderna all’Università del Sacro Cuore di Brescia, è docente di lettere nella scuola secondaria di secondo grado. Iscritta all’albo dei giornalisti (nell’elenco dei pubblicisti) in passato ha lavorato con il nostro giornale, il ChiariWeek, e da diversi anni collabora con Il Giornale di Brescia. Marta, 34 anni, nel suo libro, «Il Ruggito della fragilità», stampato nel marzo 2022, da Marco Serra, Tarantola Editore, ha raccontato la sua vita «prima e dopo del caos» chiamato sclerosi multipla, la malattia demielinizzante con la quale è costretta a convivere.

La diagnosi è arrivata nel 2021, dopo che lei è stata letteralmente "ribaltata come un calzino" in un periodo di sofferenza aumentata dal Coronavirus che nei 50 giorni di ospedalizzazione e fisioterapia. Poi è iniziata l’ulteriore "lotta": quella con la burocrazia, con le lunghe liste d’attesa e con un Sistema talmente impallato che sempre più spesso porta a ricorrere al privato.

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