Pontoglio

Un lungo viaggio in auto per arrivare in Italia: la storia di mamma e bimbo scappati dall’Ucraina

Lascia senza parole la testimonianza di Iryna, arrivata a Pontoglio a casa della sua amica Giulia. Lei e il suo piccolo di un anno e mezzo sono salvi, ma serve ancora più aiuto per ospitare i profughi.

Un lungo viaggio in auto per arrivare in Italia: la storia di mamma e bimbo scappati dall’Ucraina

di Federica Gisonna e Simone Bracchi

Un bimbo che gioca e corre in una casa accogliente, i giocattoli sul pavimento e la sua mamma che chiacchiera con un’amica, intorno al tavolo della cucina sul quale è appoggiato un pc per lo smartworking.  Una scena comune, ma che, martedì pomeriggio, era tutto tranne che normale. Perché solo a pensarci vengono i brividi, perché dopo aver incontrato lo sguardo di quelle due donne non si può più ignorare la sofferenza. Ed è impossibile non notare gli occhi gonfi, velati dalle lacrime e i volti segnati dalla stanchezza.

Un lungo viaggio in auto per arrivare in Italia: la storia di mamma e bimbo scappati dall’Ucraina

Iryna e Marco, il suo bimbo di un anno e mezzo, sono salvi. Sono scappati dalla guerra in Ucraina. Dopo infinite ore di auto e a seguito di uno straziante saluto con il marito al fronte, sono arrivati in un luogo sicuro. Sono a Pontoglio, a casa di Giulia, la loro storica vicina di casa che oggi vive in Italia con il compagno Matteo Gozzini.

Abbiamo pianto tanto quando ci siamo viste. Nessuno di noi si aspettava questa situazione. E’ un dramma immenso. Quanta morte, quanta disperazione. Lei, così come mio padre e la mia famiglia, giovedì mattina si è svegliata e si è trovata in guerra. Tu ti svegli una mattina e stanno bombardando. Non è normale. Non si può spiegare. Non si può raccontare. In fretta e furia, ha preso tutto quello che poteva. Voleva scappare, mettere in salvo il suo bimbo. Insieme ad altri parenti è partita per raggiungere il confine con la Polonia. Il marito l’ha accompagnata fin dove ha potuto. Gli uomini non possono andarsene. Le ha lasciato la macchina e, con mezzi di fortuna, è tornato indietro. Anche mio padre è ancora lì, sta facendo le ronde. “Scappano solo i topi”, mi ha detto. Il suo Paese non lo lascerebbe mai.

E’ Giulia a parlare, con la voce rotta. Iryna, invece, non parla l’italiano. E’ l’amica di sempre a raccontare l’orrore e poi la fuga. Iryna vive a Kolomyja, nell’Ucraina occidentale, a 300 chilometri dal confine con la Polonia. Fa la commercialista e lavora per una grande azienda tant’è che, dopo essersi riposata qualche ora, si è rimessa al pc. Ma adesso, mentre la 34enne lavora, sopra la testa ha un lampadario che sta fermo. Che fa luce. Che non trema a causa dei bombardamenti come in quella dannata mattina.

Sta pagando le tasse per fare in modo che i soldi arrivino ai soldati. Forse Putin e la Russia si aspettavano un popolo pronto a crollare, senza reagire. Ma così non è. Noi ucraini siamo persone orgogliose, ci aiutiamo l’uno con l’altro. A poca distanza dal nostro paese, giusto un paio di chilometri, c’è una base militare che è stata attaccata.  Ecco perché alle 5 di mattina tremava tutto.

Il viaggio per andarsene, però, è stato atroce. Loro due, insieme alla cugina con altri bambini, sono stati fermi tre giorni per attraversare il confine con la Polonia. Le code erano infinite. Le persone erano stipate nelle auto. Mancava l’acqua calda, mancava il cibo. Mancava tutto. Venivano dati solo 200 grammi di pastina per i bambini. La situazione era davvero terribile, anche nei supermercati inizia a scarseggiare tutto, così come nelle farmacie. Putroppo sarà sempre peggio. L’auto, praticamente, è diventata una casa anche per il bimbo che, una volta arrivato a Pontoglio, ha iniziato a correre e giocare nei grandi spazi messi a disposizione da Giulia e Matteo. Inizialmente lui e la sua mamma non dovevano raggiungere l’Italia, ma non c’era posto per loro a casa delle persone che avevano ospitato i loro parenti in Polonia e così, grazie all’amicizia, hanno trovato rifugio a Brescia.  La paura più grande, però, è una.

Speriamo che ci sia un posto dove tornare. Il timore è che l’Ucraina possa essere completamente cancellata. E’ quello che vorrebbe Putin. Per lui, l’unica soluzione alternativa sarebbe un nuovo presidente marionetta, che stia a tutte le sue decisioni. Il nostro, invece, Volodymyr Zelenskyj, non si fa mettere i piedi in testa. Noi ucraini siamo gente semplice, facciamo il possibile. Non ce lo aspettavamo, non così. La guerra era un pensiero remoto che nelle ultime settimane aveva iniziato a concretizzarsi, ma non potevamo immaginare questo. Sparano sui civili, sulle persone che vanno a comprare il pane. E perché? Per il volere di un uomo e non di un popolo: con i russi non c’è mai stato tutto questo odio. Inoltre, c’è tanta disinformazione in Russia, dicono tante bugie alla gente e probabilmente non sanno nemmeno bene cosa sta succedendo. Anche da noi stanno diffondendo delle fake news e vanno ad attaccare la gente che prova a rifugiarsi nei bunker. E’ tutto un incubo.

Anche il clarense Giorgio Bianchi, allenatore dei portieri della squadra di calcio dello Shakhtar Donetsk, ha vissuto direttamente l’orrore della guerra insieme ai colleghi che fanno parte dello staff di Roberto De Zerbi.

L’avvio della raccolta d’aiuti e l’appello

Nel frattempo, così come in tantissimi Comuni (come Chiari, Rudiano, Trenzano e Urago), Matteo aveva già messo in moto la macchina della solidarietà pontogliese. Con l’aiuto delle due farmacie, insieme alla Parrocchia e al Comune, supportato anche dall’associazione Commercianti, aveva iniziato a raccogliere prodotti sanitari e alimentari. La comunità, come sempre, ha risposto numerosa e nel giro di pochissimo tempo, l’oratorio si è riempito di scatoloni. Ma l’appello che lui e la sua compagna hanno voluto lanciare è ben chiaro, volto all’accoglienza.

«Ci sono tantissime donne e bambini che nei prossimi giorni arriveranno in Italia – hanno spiegato – Se c’è qualcuno disposto a dare una mano, anche per pochi giorni, si faccia avanti. Solo in questo modo si potranno aiutare innocenti che scappano da una guerra ingiusta, che stanno abbandonando la loro terra, i loro cari e non sanno cosa accadrà. Non chiudiamo le porte delle nostre case, non giriamoci dall’altra parte».

Chiunque avesse degli alloggi a disposizione, o anche una stanza dove accogliere qualcuno, può contattare la redazione di ChiariWeek (redazione@inchiarinews.it – 030.7002637) e lasciare un recapito. Lo forniremo ai Comuni, alle Parrocchie e a Matteo e Giulia che davanti alla paura e al dolore hanno scelto di aprire le porte di casa loro, ma soprattutto il cuore.