La vita di don Ferrari tra fede e archeologia
Una storia «nascosta» tra le mura del santuario di Comella che racconta le origini del territorio
Alle volte capita che antichi tesori riemergano dal passato in modo casuale, Don Alessandro Lovati, parroco di Comella, stava riordinando alcune stanze nella canonica quando si è imbattuto in un autentico tesoro.
Don Giovanbattista Ferrari
Non si pensi a forzieri pieni d’oro, ma piuttosto ad una storia strabiliante di cultura, conoscenza e lungimiranza.
"Stavo riordinando una stanza quando mi sono trovato tra le mani una lapide - ha raccontato il parroco di Comella, nel territorio di Seniga - il testo inciso è una dedica al sacerdote Giovanbattista Ferrari, a cui erano state intitolate le scuole elementari di Regona".
Ferrari non è stato solo un prelato "di insigne modestia e virtù", come si legge nella lapide, ma anche uno dei primi archeologi che con grande passione e lungimiranza ha iniziato uno studio sui reperti trovati nel territorio senighese. Queste sono terre antiche, ricche non solo di una terra fertile e rigogliosa, ma anche di tanta storia nascosta ancora sotto la spessa terra.
Una vita tra insegnamento e ricerca archeologica
Don Ferrari, nato nel 1823 e morto nel 1885, era attivo agli albori della ricerca archeologica, quando se ne intuiva il potenziale e ogni scavo era una grande avventura, erano gli anni di Gastaldi, Canestrini e Pigorini, nel territorio lombardo lavoravano Caravagli, Castelfranco e Ragazzoni, tra i principali interessi negli studi archeologici e paleontologici c’erano i laghi, ma anche la pianura aveva le sue storie da raccontare. Don Ferrari questo lo sapeva.
"Egli nacque alle "Moie" il 3 Gennaio 1823, da Giovanni e da Caterina Cattina, possidenti locali, ivi domiciliati fin dall’epoca del loro matrimonio contratto nel 1815. Frequentate le scuole elementari minori di Seniga entrò giovineto nel Seminario Vescovile di Brescia, da dove, con profitto merito uscì sacerdote il giorno 18 Giugno 1848. Tornato a Seniga, ricco di risorse morali e di intraprendente ardore giovanile, si prodigò senza risparmio nel compito affidatogli di coadiutore, inserendosi nella già numerosa famiglia sacerdotale ivi residente attendendo all'istruzione religiosa ed al buon andamento della parrocchia. In seguito, ottenuta la patente di Metodica, si dedicò all'insegnamento nelle scuole elementari per il quale motivo si orientò alle ricerche archeologiche locali, col preciso scopo di ottenere degli elementi storici per documentare le sue lezioni. Fu eletto deputato all'Amministrazione Comunale dal Consiglio Generale dei Possessori Estimati da Comune, incarico che ricoprì per il triennio 1857-58-59 .Fintanto che, per ragioni non note (forse per motivi di salute?) lasciò l'insegnamento e si dedicò esclusivamente alle ricerche archeologiche, ritirandosi nella sua abitazione di Fenillungo. Inquadrò con scrupolosità e metodo scientifico la località ove a suo parere teatro delle due sanguinose battaglie del 69 d.C. chiamate bebriacensi, pubblicando su queste due assennati opuscoli", questa la breve biografia redatta da Emilio Cernuzzi nel 1971 in occasione dell’intitolazione delle scuole elementari di Regona a don Ferrari.
Dalla stessa si evincono altre ricerche, la più nota forse è "La terramara di Seniga e Regona e le stazioni preistoriche alla confluenza del Mella in Oglio nella Bassa bresciana" (Milano 1874), o l’esposizione tenutasi a Brescia nel 1875 dei reperti da lui ritrovati nei campi di Pomello, Breda, Castellaccio e Chiavichetto, mostra visitata dal Pigorini stesso. Le sue ricerche lo aveva fatto entrare a buon diritto tra i "grandi" dell’archeologia nazionale, ma molto conosciuto era anche tra i contadini che spesso lo tenevano informato su cosa «saltava fuori» dopo le arature e a volte, sorte che tocca tutt’ora agli archeologi, veniva canzonato e apostrofato come "el prèt de le ciape (il prete dei cocci)", ma chi studia il passato, ora come allora, ha in mente e in cuore solo la conoscenza e il desiderio di svelare un pezzettino di storia e tramandarlo, perché, come scriveva Ippocrate, «la vita è breve, ma l’arte è lunga» e ogni studioso è chiamato a fare la sua parte.
"Dopo aver riscoperto la storia di don Ferrari ho deciso di esporre la lapide in sua memoria sotto la nostra Madonnina",
ha concluso don Lovati, sicuramente ai più tornerà in mente la figura del prete archeologo, capace di mettere la piccola Regona sotto i riflettori dell’archeologia nazionale.