Il caso

Diplomi falsi per barare ai concorsi: così il bidello lavorava sul Garda

Per anni ha prestato servizio all’ istituto comprensivo di Desenzano del Garda e Calcinato

Diplomi falsi per barare ai concorsi: così il bidello lavorava sul Garda

Ha acquistato un titolo di studio contraffatto per inserirsi nelle graduatorie del personale Ata e ottenere un incarico come collaboratore scolastico: è quanto emerge da una recente sentenza della Corte dei Conti che ha fatto luce su un caso riconducibile a un più ampio fenomeno nazionale.

Da anni in servizio tra Desenzano e Calcinato

Al centro della vicenda c’è un uomo sessantenne di origine campana che ha prestato servizio in questi anni tra un istituto comprensivo di Desenzano del Garda e uno di Calcinato. Dopo accertamenti e denunce da parte di alcuni dirigenti scolastici, è emersa la falsità del diploma prodotto dall’interessato — un titolo con votazione riportata 100/100, attribuito a un istituto di San Marco di Castellabate — consegnato con l’obiettivo di accedere alla graduatoria di terza fascia Ata. Le indagini, citate nel dispositivo della Corte, non si sono limitate al singolo caso: i carabinieri avrebbero infatti ricostruito l’esistenza di un’organizzazione criminale operante tra il Cilento e la provincia di Salerno dedita a confezionare e commercializzare documenti falsi.

Scalavano i concorsi con diplomi falsi

L’obiettivo dichiarato dell’organizzazione era «intercettare potenziali acquirenti di falsi diplomi per scalare le graduatorie del personale Ata», offrendo titoli che, secondo gli inquirenti, sono stati venduti anche a cifre che arrivano fino a 7mila euro.Per il bidello finito sotto la lente della Corte dei Conti, la Procura regionale aveva chiesto un risarcimento di poco inferiore ai 24mila euro a titolo di danno erariale nei confronti del Ministero dell’Istruzione. La Corte, valutando la documentazione e la posizione dell’imputato, ha però riconosciuto una situazione più complessa: se è vero che il diploma esibito era falso, il sessantenne era comunque in possesso di un diploma di maturità scientifica regolare, seppur con votazione modesta, che gli avrebbe comunque consentito di accedere legalmente al ruolo, seppure con tempistiche diverse. Per questo motivo la condanna al pagamento è stata quantificata in circa 11mila euro, somma inferiore a quella inizialmente richiesta dalla Procura.

Una prassi diffusa

Il caso bresciano si inserisce in una più ampia serie di inchieste che nei recenti anni ha messo in luce numerosi episodi analoghi su scala nazionale, con dirigenti scolastici che talvolta si sono rivolti alle forze dell’ordine dopo aver scoperto collaboratori privi dei requisiti. La vicenda riapre il dibattito sulle modalità di verifica dei titoli presentati nelle scuole e sulla necessità di procedure più stringenti per evitare che documenti contraffatti permettano l’ingresso in graduatoria a persone che, cambiando il loro profilo anagrafico o professionale, possano trovare impiego a scapito di candidati regolari.
La Corte dei Conti ha dunque applicato criteri di responsabilità patrimoniale che tengono conto delle effettive condizioni dell’interessato e della presenza di un titolo legittimo alternativo, pur riconoscendo la gravità della frode. Resta intanto aperta la questione dell’azione penale e dell’indagine sull’organizzazione criminale citata, la quale — secondo le ricostruzioni degli inquirenti — avrebbe operato con modalità di contatto mirate a intercettare soggetti interessati a ottenere in modo illecito l’accesso al mondo del lavoro scolastico.

In evidenza: immagine di repertorio