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A Ottavia Piana dobbiamo dire una sola cosa: "Grazie"

Non è solo una storia di sfortuna maledetta, ma anche di coraggio e umanità. Perché l'esplorazione serve a tutti noi, anche se non lo sappiamo

A Ottavia Piana dobbiamo dire una sola cosa: "Grazie"
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Non sono forse queste le ore in cui sarebbe ovvio ricordarcelo. Eppure può avere senso ugualmente, persino mentre lei è ancora intrappolata, provare a pensare al secondo incidente in grotta  di Ottavia Piana non solo come una storia di cronaca nera, di sfortuna maledetta, di fato beffardo. Lo è, con tutta la sua tragedia, ma è anche al tempo stesso una storia di coraggio e di umanità, che non può scomparire dietro titoli facili e altrettanto facili giudizi.

Ottavia Piana (Facebook)

La categoria estinta degli esploratori

È l'umanità sorridente, curiosa e instancabile degli esploratori, di cui Ottavia e i suoi colleghi del Progetto Sebino fanno parte a pieno titolo. Categoria ormai quasi estinta, almeno a livello del suolo, quella degli esploratori. Eppure è così disperatamente indispensabile che in ogni comunità ci sia qualcuno che ci ricordi che non sappiamo ancora quasi nulla del sassolino azzurro su cui svolazziamo da milioni di anni. Che sotto i nostri piedi, anche lì, alle spalle del lungolago, c'è un mondo sconosciuto ancora da scoprire.

L'abisso Bueno Fonteno è stato scoperto diciotto anni fa proprio da Progetto Sebino, un raggruppamento di associazioni speleologiche che ha esattamente l'obiettivo di esplorare, tracciare e fare ricerca scientifica nell'area del Sebino occidentale, in uno dei complessi carsici più estesi e interessanti d'Italia. Chilometri e chilometri di grotte e cunicoli: alcuni larghi appena pochi centimetri, altri grandi come intere cattedrali. «Attualmente la nostra attività ha permesso di tracciare 35 chilometri di grotta, ma pensiamo che si possa estendere per oltre 100 chilometri: l’obiettivo è di continuare ad esplorarla anche per mappare i corsi d’acqua sotterranei» aveva spiegato a ChiariWeek il vicesegretario di Progetto Sebino e membro del gruppo Speleo Cai di Lovere Federico Vezzoli.

A chi giova  tutto ciò? A tutti noi

Non è assurdo chiedersi a cosa serva tutto ciò, a chi giovi un'attività che per sua natura, anche quando si presta la massima attenzione alla sicurezza, è di per sé oggettivamente pericolosa. Ma la risposta è altrettanto semplice quanto la domanda. Come ogni altra esplorazione scientifica serve potenzialmente a tutti noi, per ragioni note ma anche per ragioni che ancora non conosciamo. L'interesse degli esperti che stanno esplorando Bueno Fonteno spazia su svariati aspetti. L'indagine delle dinamiche idrogeologiche dei sistemi carsici permetterà di comprendere meglio il comportamento dei corsi d’acqua sotterranee e delle sorgenti. Se qualcuno ricorda la siccità che ha assetato per mesi la pianura nell’estate di due anni fa, è facile rendersi conto di quanto preziosa sia la scoperta di una nuova sorgente. Non è un caso se proprio l’abisso di Bueno Fonteno sia stato citato tra le aree più interessanti dal punto di vista della ricerca di nuove sorgenti dalla stessa Uniacque, l’ente gestore del ciclo idrico in provincia di Bergamo.

Se ciò non bastasse, c’è la biologia. È anche grazie alle esplorazioni di nuove grotte che i biologi cercano di comprenderne meglio la fauna che popola gli abissi, ambienti ecologici unici e delicatissimi ma al tempo stesso connesso con il nostro mondo in superficie. L’isolamento millenario e le condizioni estreme di buio e umidità rendono possibile, se non probabile, che nei meandri di Bueno Fonteno vivano specie animali - insetti e invertebrati endemici - letteralmente sconosciute, come del resto è già capitato di scoprire negli scorsi anni in altre grotte bergamasche e bresciane.

Infine, il lavoro dei topografi sta ricostruendo l'enorme sistema carsico e le sue tre diramazioni, che come dimostrano recenti studi collegano la Val Cavallina e la costa bergamasca del Lago di Iseo, al centro di un territorio di circa 90 chilometri quadrati, sul quale si trovano qualcosa come diciannove Comuni diversi. E chissà quali altre frontiere, ora ancora inimmaginabili, potrebbero aprirsi per Ottavia e i suoi colleghi.

Un'impresa collettiva

Tutto ciò fa della loro impresa individuale un'impresa collettiva. Là sotto, con loro, con Ottavia, c'è il genere umano, ed è forse anche per questo che l'incredibile sfortuna che ha colpito la 32enne adrense sembra tanto vicina a chiunque ne condivida lo spirito, e ne ammiri il coraggio e la curiosità. Fare speleologia, si legge sul sito di Progetto Sebino, "significa esplorare l’immenso mondo sotterraneo per continuare a percorrere nuovi ambienti mai conosciuti dall’uomo e raccontarli a tutti coloro che subiscono il fascino del nostro “mondo di sotto” .
Se Ottavia davvero deciderà di non scendere mai più in grotta, sarà più che comprensibile dopo due disavventure tanto agghiaccianti. Eppure dovremmo tutti tifare perché, invece, continui. Nel frattempo, oltre agli auguri per una pronta guarigione, si porti a casa il nostro «Grazie».

Davide D'Adda

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