NIENTE BOTTE IN CONSIGLIO COMUNALE
C’è nostalgia di quei meravigliosi anni Settanta e Ottanta, quando c’era la buona musica suonata e non figlia dei computer, quando il carosello ci mandava a letto, quando la Serie A giocava solo la domenica pomeriggio e quando nelle aule dei consigli comunali tra urla e sceneggiate si fronteggiavano a difesa di due ideali maggioranza e minoranza: quello democristiano e quello comunista. Indimenticabili quelle serate che finivano all’alba, con ogni posto a sedere occupato dal macellaio, dal panettiere, dal meccanico e anche dal parroco. Tutti in sala per battere le mani a ogni frase del proprio politico del cuore.
Il voto aveva un peso e il posto conquistato al seggio autorevolezza. Sia se l’eletto sedeva tra la maggioranza, sia se era schierato nella minoranza, un tempo era meglio descritta col nome di opposizione. La lotta in Comune era dura, la posta in palio determinante tra piano regolatore, intitolazione di una via, chiusura di una strada. La maggioranza sosteneva il sindaco, che allora aveva importanti poteri e che decideva e firmava, e i consiglieri di opposizione cercavano di far saltare il banco come se fossero nel Genio Guastatori. In quegli anni il sindaco si poteva anche mandare a casa, bastava convincere qualche consigliere indeciso a passare dall’altra sponda o a non votare atti determinanti dell’attività amministrativa. Consiglieri comunali sempre rappresentativi di una categoria lavorativa, di uno strato sociale, di un quartiere, con lo spessore che si misurava a spanne e non come ora col righello dei centimetri. Oggi tutto è cambiato e la sala consiliare non è più rappresentativa. Non si identifica con la piazza e con il bar dove nascono le idee da portare in Consiglio per essere approvate o bocciate. Le regole di ingaggio sono snaturate, il numero dei consiglieri è stato ridotto e per far saltare un giunta che non lavora bene non è più sufficiente scatenare una crisi politica; adesso occorre far mancare i numeri quando si vota il bilancio.
E’ evidente che a mancare siano coloro che vogliono prendere seriamente l’impegno civico e questo perché tra patto di stabilità e difficoltà economica del Paese rimane poco da inventarsi e da investire. Meglio stare fuori e prendere a bordate tutto ciò che si muove, lanciando il sasso e nascondendo la mano, pratica principe sui social. Il «libro delle facce» è infatti il quartier generale di chi non approva e contesta e dietro a denunce anche pesanti poche volte ci sono nomi che portano all’identificazione di chi si lamenta. Diversa cosa sono i gruppi di pensiero (sempre di Facebook): tanto di cappello, sono la vera opposizione costruttiva, documentata, aggiornata.
Francesco Amodei