Un chef siciliano per lo storico ristorante

Un chef siciliano per lo storico ristorante
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Una tradizione che dura da generazioni, una posizione storica, romantica, inconfondibile. Questi sono due dei tratti più distintivi del ristorante Colomba che si affaccia sul porto vecchio di Desenzano, il simbolo per eccellenza del paese. La famiglia Andreis lavora nel settore alberghiero e ristorativo fin dai tempi di Giuseppe Andreis, proprietario dell’Hotel Miralago negli anni ‘20, e di Luigi Andreis e la moglie Colomba Grandi  che aprirono la prima pizzeria di Desenzano,  il «Tre Corone» nel 1959 in via Stretta Castello. «Era frequentato da appassionati di arte, lirica, pittura; questo grazie all’amore che Luigi nutriva per la cultura»  ricorda Carlo Andreis, attuale gestore del Colomba accanto al fratello Paolo, barman Ubsm e Aibes di esperienza nazionale e internazionale che vanta 2 titoli assoluti italiani e 13 primi posti in varie competizioni. Come bar, l’attività nasce nel 1986 mentre la trasformazione in ristorante avviene nell’anno 2004, esito dello stimolo costante di rinnovarsi e del sodalizio con lo chef di Agrigento Salvatore Carlozzo, che ancora oggi dirige la cucina.
Una storia di famiglia insomma, Carlo, unita a una location splendida. Che tipo di clientela avete, solo turistica e straniera?
«No. Abbiamo infatti anche clienti affezionati e fedeli da anni, che vengono da città vicine al Garda; cito Bergamo, Mantova, e anche Milano. Poi abbiamo anche turisti stranieri, ma pure tra questi non ci sono solo clienti di passaggio. Una coppia di irlandesi per esempio si è sposata qui da noi». 
Parliamo un poco della carta... la decide lo chef? Che tipo di piatti propone?
«Lo decidiamo insieme, cercando di variare i piatti. Abbiamo portate di pesce, alcune che ci contraddistinguono, come la spaghettata, che ha un grande impatto coreografico e piace molto ai nostri clienti, oppure la tagliata di tonno su crema di patate e tartufo nero, ma anche di carne». 
 Oggi parliamo di risotto al nero di seppia con le capesante, un altro vostro classico. 
«Si, si tratta di un primo molto apprezzato e che ci rappresenta. Un piatto elegante, delicato, che seduce il palato dei nostri clienti».
Come lo realizziamo?
«Si parte dall’olio, che noi insaporiamo all’aglio in una casseruola di rame. Giusto un profumo, per dare sapore senza però risultare troppo invadente. Si tosta quindi il riso. Noi non lo sfumiamo col vino bianco. Aggiungiamo poi il nero con un po’ di acqua. Occorre fare attenzione a non salare troppo… l’inchiostro infatti è già abbastanza salato di suo. Il riso viene coperto quindi dal nero, acqua e brodo di pesce. Se si dovesse asciugare troppo, se ne aggiunge. Si aggiungono poi le capesante tagliate a crudo. Anche sul brodo di pesce lo chef resta delicato, per evitare di coprire il nero e le capesante con sapori troppo decisi. Quando è   pronto, si procede con la mantecatura, rigorosamente fuori fiamma. Nella versione all’onda, quindi un po’ più liquida, lo chef mette una piccola manciata di parmigiano e un pochissima panna. Oppure con il più tradizionale burro. In caso di intolleranza ai latticini, usiamo solo un filo di olio. A guarnizione una capasanta spadellata».    
Tempistica?
«Direi un quarto d’ora, più o meno… io personalmente preferisco il dente un po’ al dente, non stracotto. In carta sarebbe minimo per due persone, anche se a volte ci è capitato di farlo abbondante per un cliente solo…»
Hai accennato alle intolleranze… avete anche piatti vegetariani, o vegani?
«Vegetariani si, vegani ci stiamo lavorando. Ci piacerebbe inserirne qualcuno». 

 

DA GARDAWEEK DEL 14 APRILE


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