«Romanell» e l’asina Francesca, un «porta a porta» d’altri tempi

Alle continue segnalazioni di abbandono di rifiuti, ai disguidi del sistema di raccolta «porta a porta» c’è chi risponde ripescando dal passato un personaggio come Attilio Romanelli, lo «squasì» (spazzino) che già negli anni ‘50 e ‘60 conosceva il segreto per per mantenere pulito il paese. Insieme alla sua affezionata asina Francesca, carretto al seguito, per oltre 50 anni ha dedicato le sue mattine ad un «porta a porta» d’altri tempi.
Si muoveva di casa in casa, in tutte le vie del paese, chiamando a gran voce la «Maria» di turno affinché gli portasse lo sporco che, prontamente, con un secchio gettava all’interno suo carretto. Cenere, polvere, e poco altro: «Una volta - ha spiegato la nipote Nadia Romanelli - di rifiuti non ce n’erano tanti, e neanche di imballaggi. Quei pochi scarti del cibo venivano dati tutti agli animali. Anche noi che abitavamo in paese avevamo oche e conigli, altri anche galline. A volte quando buttava la cenere delle scaldine del letto, se c’era ancora qualche brace accesa, usciva tutto il fumo dal carretto». Ecco perché era conosciuto da tutti e la sua Francesca, che si è ritagliata un posto d’onore nei cuori di tutti i bambini, era diventata la mascotte del paese. «Prima di andare a casa si fermava a bere qualcosa al bar dell’Acli in via Matteotti. - Ha spiegato la signora Romanelli - L’asina, davvero molto intelligente, vedendo che non usciva più, faceva retromarcia, i passanti staccavano le redini con cui il nonno la agganciava a qualche palo per farla star ferma e andava da sola nella stalla in via Mazzini. Era un cinema». Ma «Romanell» sapeva anche farsi capire dalla sua asina, se le chiedeva di fermarsi, lei si fermava.
Attilio era sposato con Maria Brunetti, cuoca del comando carabinieri e artigiana di materassi, con la quale aveva avuto tre figli: Pietro (Peppino), Nella e Ines. Per mantenere la famiglia il pomeriggio lavorava come contadino nel campo dei signori Rizzetti, dietro la chiesa. «Dopo il lavoro nei campi - ha continuato la nipote - portava sempre la verdura a mia mamma, io scendevo in cortile a prenderla e gli portavo un bicchiere di vino. Mio nonno era buono, solare, simpatico, conosceva tutti, gli piaceva stare tra la gente e non l’ho mai visto arrabbiato. Quando aveva bisogno gli facevo le punture e lui si è sempre ricordato del mio compleanno, ogni anno mi regalava una scatola di biscotti savoiardi e una bottiglia di vino bianco, non si dimenticava davvero mai». Tra i ricordi di Nadia spunta anche quello legato alla sua coltivazione preferita: l’uva americana che Attilio non dimenticava mai di piantare. Insieme poi, quanto i grappoli erano giunti a maturazione, ne staccavano i frutti e la nipote li pigiava con i piedi. E, come ogni vendemmia che si rispetti, anche la loro era coronata da un lauto pranzo. «La nonna - ha raccontato Nadia - arrivava con la sua bicicletta e cucinava polenta con gorgonzola, coniglio e noi li mangiavamo seduti sul gradino cementato. Ci divertivamo più una volta quando non si aveva nulla». Per un periodo i nonni hanno abitato in via Mazzini, mentre Nadia in via Matteotti, erano quindi molto vicini.
Così quando lui tardava a rincasare, preso dalla partita a carte con gli amici dell’Acli, la nonna mandava Nadia a chiamarlo. «Ero l’unica a cui dava ascolto - ha spiegato la signora - quando arrivavo mi ordinava una spuma nera con la schiuma, promettendomi che quando l’avessi finita sarebbe andato a casa, in bicicletta». Dopo la morte di Francesca è seguita l’asina Marcellina «ma non era la stessa cosa» ha commentato Nadia, poi, un anno prima della morte, avvenuta il 20 novembre 1975, una trombosi lo aveva costretto a limitare gli spostamenti a piedi, anche se, pur con il bastone da passeggio, non rinunciava ad accompagnare la pronipote Pamela nei suoi primi passi.
«Era davvero una persona d’oro - ha concluso Nadia - e la sua mancanza si fa sentire in tutto il paese».