MONTICHIARI MUSEI: IL DIRETTORE BOIFAVA TRACCIA LA ROTTA

MONTICHIARI MUSEI: IL DIRETTORE BOIFAVA TRACCIA LA ROTTA
Pubblicato:

LA CULTURA SECONDO IL DIRETTORE DI MONTICHIARI MUSEI E IL DUALISMO CON LA GRANDE BRESCIA.

Paolo Boifava, nato a Montichiari e ancora residente in città attualmente è alla direzione del sistema museale «Montichiari Musei». Si è laureato in Conservazione dei Beni culturali a Parma. Poi ha fatto un’ importante esperienza in alcuni musei di Parigi e poi agli Uffizi di Firenze.

 

Una città che vanta pittori e scrittori famosi nel mondo, ma non solo, Montichiari è detentrice di un patrimonio artistico che fa invidia a molte altre città della provincia italiana. Basti pensare che è seconda nella Provincia solo alla città capoluogo, Brescia. Il suo grande valore storico e culturale, lo si deve allo sforzo compiuto in questi ultimi anni dalle Amministrazioni culturali che si sono succeduta, ma soprattutto a concittadini generosi, che hanno fatto delle loro collezioni private donazioni per la città.
Da queste donazioni alla nascita di un sistema museale strutturato di tempo ne è passato e alla sua guida sin dall'inizio si è posto Paolo Boifava, ad oggi direttore di Montichiari Musei.
Come e quando è partita questa avventura?
«Lavoro per il Comune dal 2009. Quell'anno la città ricevette una donazione molto importante dalla famiglia Pasinetti, ovvero dalla professoressa Laura Pasinetti, un'astrofisica dell'università di Milano che ad un certo punto della sua vita decise di donare al Comune di Montichiari, tutti i dipinti di suo nonno Antonio Pasinetti, monteclarense di nascita ma milanese di adozione, il quale fu un ottimo pittore del periodo della Scapigliatura tra la fine dell'800 e la prima metà del 900. Laura Pasinetti, purtroppo morì e fu allora che il Comune mi chiese di allestire una Pinacoteca dedicata a Antonio e Laura Pasinetti e per altro il Comune scoprì dopo la morte della professoressa di essere diventato l'unico erede universale della famiglia, tale che ricevette una dote economica importante, soldi che servirono ad allestire il museo, fare il catalogo e che ancora oggi vengono utilizzati per mantenere viva la Pinacoteca. Si tratta di un Museo che vive sulle sue gambe. Sempre dopo la morte della professoressa, venni a scoprire che lei, nel suo testamento, aveva chiesto che io entrassi a far parte della Commissione che porta il suo nome e che ha il compito, insieme a Comune di gestire l'intero patrimonio. Fu così che l'Amministrazione decise di nominarmi direttore della Pinacoteca. Ma non è stata la sola donazione ricevuta dalla città. Infatti nel 2005 il Comune aveva ricevuto la donazione Lechi. Il notaio monteclarense decise di donare al Comune la sua straordinaria collezione, con il vincolo di usufrutto, ovvero che fino a quando lui fosse restato in vita, le opere sarebbero rimaste a casa sua. Morì nel 2010. Da questo momento è iniziato il grande lavoro di catalogazione e trasferimento delle opere con tutta la burocrazia del caso. Tra il 2009 e il 2012, cioè quando è stato aperto il Museo Lechi, il mio lavoro si è concentrato sulla realizzazione di questa struttura. Si è trattato di un lavoro complesso, ho dovuto seguire anche i progettisti. Perché fare un museo non è facile, ci sono scelte precise che devono essere fatte. A questo è poi seguito il lavoro di allestimento, ordinamento delle opere, realizzazione del catalogo. Questo è stato il secondo museo aperto dopo la Pinacoteca Pasinetti. Il museo del Risorgimento, già esistente, fu riorganizzato grazie anche al valido aiuto di Emanuele Ceruti, e infine il castello. Qui fin da subito stilammo un serio programma di manutenzione e restauro, anno per anno. Infatti da qualche tempo il Comune si è impegnato per portare a conclusione un intervento di restauro all'anno».

Dopo essere diventato direttore della Pinacoteca, ha dato vita al sistema museale che si chiama Montichiari Musei, quale era la situazione che ha trovato e quindi che l'ha portata a stilare un progetto che all'inizio sembrava essere troppo ambizioso per una città di provincia.
«All'epoca la situazione della gestione del patrimonio culturale della città era di fatto un po' frammentato: il castello Bonoris era gestito dalla Pro loco, il museo Bergomi veniva gestito dal centro fiera e il museo del Risorgimento aveva i suoi volontari e poi la Pinacoteca che era gestita dal Comune. Era assurdo che ci fossero quattro realtà che gestissero quattro cose diverse, quindi ho proposto all'Amministrazione di creare un sistema museale che potesse raccogliere sotto un'unica direzione la gestione dei musei affinché fosse più coerente e che ci fosse così la possibilità di creare una progettualità. Così è stato. Negli anni questo aveva creato qualche problema soprattutto al patrimonio. Un esempio la gestione del castello Bonoris per molto tempo in mano alla Pro loco, un' associazione sicuramente indispensabile, ma per questo tipo di struttura era necessario che venisse gestita da persone dotate di competenze anche scientifiche, per far fronte a determinate problematiche che soltanto un tecnico può rilevare e quindi risolvere. Si tratta di problematiche conservative che necessitano di personale preparato e competente che non possono essere gestite da “dilettanti allo sbaraglio”. Quindi bene le Pro loco ma che facciano altro. Il mio percorso di studi e le mie esperienze hanno fatto in modo che acquisissi le competenze che oggi servono a ricoprire il ruolo che mi è stato affidato. Ricordo che l'obiettivo di un museo non è soltanto quello di valorizzare l'arte al suo interno, realizzando eventi, ma molto del suo lavoro sta nella conservazione, un dietro le quinte che le persone non possono vedere»...

(L'INTERVISTA COMPLETA SU MONTICHIARI WEEK, EDIZIONE CARTACEA, DISTRIBUITO IN TUTTE LE EDICOLE)


Seguici sui nostri canali