Marco prende il metallo e gli dà vita

Marco prende il metallo e gli dà vita
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Mola, martello, laser e fiamma ossidrica. Comuni strumenti da lavoro che per Marco Paghera sono diventati anche il mezzo con cui crea pezzi d’arte simbolica che vengono esposti in prestigiose galleria italiane ed europee.

Adesso una delle sue opere è stata selezionata per un’importante mostra a Ginevra, ma non è la prima volta che il nome di Paghera, classe 1980, fa il giro dell’Europa anche con successi in diversi concorsi. Dopo il liceo artistico e la leva militare è stato il lavoro come fabbro nell’azienda di famiglia, nella zona artigianale dell’Alpino a Castenedolo, a dargli lo slancio per cominciare le sue sperimentazioni. E’ qui che fin da bambino era in contatto con uno dei materiali che più lo affascinano e ispirano: il ferro. Nel tempo ha scoperto poi l’alluminio, un materiale che l’ha stupito. «Ho sempre pensato fosse freddo - ha spiegato - ma può diventare molto organico, può avere un taglio di precisione ed essere colorato». Nel tempo libero ha inizia a creare finché questo non è diventato la sua principale passione. «La cifra artistica delle mie opere attinge al background lavorativo - ha spiegato - utilizzo gli strumenti tecnici ed è un mio segno distintivo». E’ dal 2013 che l’attività lo prende in maniera sempre più costante e crescente e fa della pulizia tecnica delle sue opere la sua firma caratteristica che gli sta permettendo di essere riconosciuto a livello nazionale e non solo. Dal gusto iniziale per le opere più figurative si è poi specializzato nelle grandi sculture dinamiche, come la monumentale «Oltre», alle geometriche «Introspezioni cerebrali».

Nello stesso anno ha fondato «Mode» con un gruppo di giovani artisti, i primi consensi tra i critici, tra cui i professori Paolo Bolpagni ed Alberto D'Atanasio gli hanno dato una nuova consapevolezza. Dopo questa esperienza si è concentrato su «Introspezioni cerebrali», una serie di lavori in cui mente, pensiero e subconscio vengono analizzati, poi scomposti e rappresentati con un linguaggio del tutto astratto. «Voglio imprimere le meccaniche mentali e umane - ha spiegato - ci metto molto del mio». Per far questo ha affiancato ai metodi tradizionali, utilizzati per scolpire e modellare la materia, lavorazioni con attrezzature industriali. Il risultato sono opere a doppia valenza, parietali e scultoree, intrise di simbolismo. «Nelle opere più raffinate - ha spiegato - posso scendere nel design, mi è capitato che la critica mi tacciasse di leziosità». Ma il suo non è uno sterile rigore tecnico. Come i più grandi è mosso da un forte «bisogno di immortalità» che lo spinge a lasciare una traccia di sé «anche dopo la morte». «A volte parto da un titolo che mi piace - ha spiegato - e da quelli faccio scaturire l’opera, a volte parto all’inverso, non ho un metodo fisso». Caposaldo del suo metodo certosino le campionature preparatorie «la fase più vera - ha detto Marco - creativa ed edificante. Sento un’energia all’interno e devo prendere gli strumenti».

Un processo che richiede il suo tempo e che porta al prodotto «gratificante quando esce come lo immaginavo». Una quarantina le opere create, alcune vendute, per le quali Marco nutre un senso di distacco «come un padre verso un figlio - ha spiegato - provo dispiacere, ma è giusto che debbano andare e che altri ne possano godere. Quando fai qualcosa di effimero che deve solleticare il piacere è gratificante arrivare al cuore delle persone perché subentra la capacità di suscitare i sentimenti». Diversi anche i riconoscimenti collezionati: nel dicembre del 2014 il «Diploma d’Onore» e il titolo di «Benemerito dell’Arte Italiana» dall’Accademia Santa Sara di Alessandria mentre, nel 2016, l’opera «Etica e passioni» viene insignita, dalla direzione artistica di Paratissima XII, del prestigioso premio «Hit Parade». Coniuga e mescola il metallo, l’elemento che più lo rappresenta, al colore, ad inserti in resine, velluti, legno ed altri materiali.

Tanti gli obiettivi già raggiunti, ma tanti ancora quelli che si è prefissato. «Sicuramente l’affermazione personale e la possibilità di esporre a livello museale - ha spiegato l’artista - riuscire a esporre sempre più, avere commissioni che possano liberarmi, come in un’opera fuori scala». Ma tutto questo non sarebbe nulla se Marco non credesse in quello che fare conclude con un precetto inossidabile: «Devi crederci, nessuno più di te può credere in ciò che fai».


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