Brescia

Il Teatro al tempo del Covid: intervista all'attrice Silvia Quarantini

“Così violento il colpo di coda che la Storia ci ha allungato che mi sono messa rispettosamente in ascolto”

Il Teatro al tempo del Covid: intervista all'attrice Silvia Quarantini
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Silvia Quarantini, classe 1979, dopo la maturità vive e studia a Padova dove si laurea in Lettere Antiche (2004); qui collabora con la cooperativa teatrale La comedìa, con lavori su Ruzante. Si trasferisce a Genova, dove si diploma alla Scuola di Recitazione del Teatro Stabile (2006). E' segnalata nella sezione femminile del Premio Hystrio 2007. Partecipa alla Summer School del Napoli Teatro Festival "Tradition and New Creativity in the Performing Arts" (2009). Lavora in teatro con i registi: A.L. Messeri, M. Mesciulam, T. Conte, M. Sciaccaluga, S. Maifredi, O. Lanza, Ricci/Forte, Marco Ghelardi, Alex Ollé – Fura dels Baus, Elena Bucci e Marco Sgrosso. Collabora come formatrice teatrale per il Teatro Telaio. Dal 2012 collabora continuativamente con il Centro Teatrale Bresciano di volta in volte nelle vesti di attrice, autrice, assistente alla regia e collaboratrice all'organizzazione, nelle produzioni: "Mythos" e "Tartufo" regia Bucci-Sgrosso; “BS015 – Autoritratti in viaggio”, "Evolution City Show - Brixiae editio", "La Storia" ispirato al romanzo di Elsa Morante, "Calma Musa Immortale - Albe di Vittoria", tutti ideati e diretti da Fausto Cabra; "Curamistrega" testo e regia di Marco Ghelardi; la rassegna di letture di drammaturgia contemporanea "Teatro Aperto" diretta da Elisabetta Pozzi. Dal 2015 è anche insegnante di lettere nella scuola secondaria di secondo grado.

Intervista all'attrice Silvia Quarantini

Sono tempi davvero difficili per il mondo della cultura e dello spettacolo. Molti artisti protestano, altri sono rassegnati, alcuni sviluppano idee, altri hanno addirittura cambiato professione. Lei come ha vissuto l'ultimo anno?

Io ho sentito, come molti amici e colleghi, un'esigenza di raccoglimento. Era talmente forte il rumore di quello che stava succedendo, così violento il colpo di coda che la Storia ci ha allungato, quando pensavamo di esserne ormai soltanto degli annoiati spettatori, al sicuro svoltato l'angolo del Novecento... così forte e inatteso il colpo, dicevo, che mi sono messa rispettosamente in ascolto. Ho sentito il bisogno di riflettere sul senso della professione artistica, sul ruolo dell'artista in questo tempo e anche sulla consistenza e sul significato dell'arte nella mia vita. Ho lavorato molto su di me, praticando meditazione e attività fisica. Ho anche accolto alcune proposte di lavoro che mi sono venute dal Centro Teatrale Bresciano, collaborando come attrice o dal punto di vista dell'organizzazione a due progetti che avevano soprattutto lo scopo di mantenere aperto il canale comunicativo con il pubblico: "BS020 - teatro e cinema, girati in casa da attori che si confrontavano con tutti i limiti (fisici, psicologici e tecnici) dell'isolamento; e poi la versione streaming delle letture di drammaturgia contemporanea della rassegna "Teatro Aperto", giunta alla sua quarta stagione, per la direzione artistica di Elisabetta Pozzi. Inoltre durante il primo lockdown ho completato la stesura, insieme a Marco Archetti, del copione di "Calma Musa Immortale", un progetto di teatro immersivo dedicato al ritorno della Vittoria Alata, commissionato da Brescia Musei, ideato da Fausto Cabra e prodotto dal Centro Teatrale Bresciano, che vedrà la luce con la riapertura degli spazi museali e la fine delle restrizioni. Per me quindi sono stati mesi di lavoro e riflessioni, in cui si sono alternati momenti duri ad altri di inaspettata serenità. Ho ascoltato con un po' di perplessità le voci di chi chiedeva a più riprese la riapertura dei teatri e dei cinema. Comprendo naturalmente l'angoscia di chi non percepisce lo stipendio e continua ad avere spese. Comprendo e condivido la preoccupazione di chi lamenta le ferite sociali e culturali che quell'assenza contribuisce ad approfondire. Ma la situazione era ed è talmente critica da richiedere provvedimenti eccezionali, drastici e dolorosi. Mi domando, se anche i teatri riaprissero domani, che cosa cambierebbe per gli artisti e per i teatri stessi, con i numeri ridicoli imposti dalla la necessità del distanziamento? La verità è che la contingenza ha soltanto esasperato una crisi in atto da tempo. La barca sta affondando e il fatto che qualcuno si salvi perché riesce a rimanere attaccato a un pezzo di legno ritarda soltanto la presa di coscienza che serve un ripensamento strutturale e rivoluzionario del sistema. Discorso che, fatte le debite proporzioni, vale anche per altri settori, come la sanità.

Secondo lei perché in Italia si fa ancora fatica a considerare cultura e spettacolo come ambiti lavorativi veri e propri?

È una vecchissimo problema di mentalità: nel Trecento, Giovanni Boccaccio, figlio di un ricco mercante che sognava per lui una carriera nel commercio (o almeno studia giurisprudenza! macché, era negato), doveva giustificare la sua ostinata frequentazione delle Muse, cioè della poesia, e a chi gli rimproverava di scrivere letteratura d'evasione per donne (!) e gli consigliava di procurarsi il pane in modo più serio rispondeva che "i poeti […] dietro alle loro favole andando, fecero la loro età fiorire, dove in contrario molti nel cercar d’aver più pane, che bisogno non era loro, perirono acerbi". Insomma, nel paese con il patrimonio artistico più ricco del mondo, che come pochi altri ha contribuito allo sviluppo della cultura e della civiltà occidentale, si continua a considerare l'arte un gioco da ragazzi scapestrati che non hanno voglia di lavorare. Perciò la formazione dei lavoratori del settore è un optional; perciò la categoria non ha tutele; perciò si fanno riforme che privilegiano la produzione bulimica di nuovi spettacoli a scapito della ricerca, del lavoro, della qualità e della profondità artistica. La categoria è in gravissima sofferenza. E quale artista può far fiorire la sua epoca se deve ossessivamente pensare a come mettere insieme i soldi per l'affitto? Credo che su questo influisca la mancanza di una grande industria cinematografica, come quella statunitense, che, producendo lavoro e ricchezza per molte persone, da una parte rende più riconoscibile e quantificabile il valore della professione artistica, dall'altra stabilisce degli standard qualitativi molto alti per i lavoratori dell'arte. E poi la scarsa considerazione che la classe politica, al netto di parole vuote, mostra per la cultura è inevitabilmente svalutante. Anche in questo caso, il discorso si può ampliare ad altri settori, come la scuola. Probabilmente anche gli artisti hanno la loro quota di responsabilità. Troppo spesso l'ostinato amore per quella vita impossibile ci impedisce di prendere coscienza di ciò che non va, in noi e fuori di noi, ciò che è inaccettabile, ciò che è umiliante. Ci rende ciechi di fronte a ciò che non possiamo cambiare con le nostre sole forze, e nonostante la nostra fervida fantasia. E si va avanti, come in una relazione maltrattante e tossica, quando bisognerebbe avere il coraggio di dire dei no. E trovare il modo di salvarsi la vita. Perché un artista morto non serve più a granché. Almeno un attore di teatro, l'arte volatile per eccellenza.

Perché secondo lei chi fa cultura e spettacolo non riesce ad avere voce in capitolo, sindacalmente e politicamente?

Credo per il costitutivo individualismo degli artisti, che non è una colpa, solo un'indole alimentata da questo tipo di professione. Ma forse adesso i tempi stanno cambiando: finita l'epoca degli attori tromboni, sta lentamente tramontando anche l'epoca degli attori egoici.

Le proteste di piazza dei lavoratori della spettacolo porteranno a risultati concreti?

Non so rispondere a questa domanda. Certamente me lo auguro. Ma auspico soprattutto che oggi in Italia si superi con uno slancio di generosità e di intelligenza collettiva la difesa aprioristica delle categorie e si trovi il coraggio di immaginare una vita diversa e più dignitosa per tutti. Tanto più in un momento come quello attuale in cui è diventato particolarmente evidente che, se affonda una parte della società, vanno giù anche gli altri.

I giorni che stiamo vivendo a che opera teatrale le fanno pensare?

"Gli ultimi giorni dell'umanità" di Karl Kraus, per il bellissimo titolo, e perché sento che siamo giunti a un momento critico, di resa dei conti. Mi auguro però che ci sia qualcosa de Le Baccanti di Euripide: che lo straniero venuto da Oriente a portare la morte sia anche l'artefice di una rinascita.

Quando l'emergenza sarà solo un ricordo con che opera le piacerebbe tornare sul palcoscenico?

Il desiderio più sbrigliato dice "Le tre sorelle" di Anton Cechov. Un'altra voce mi ricorda "Calma Musa Immortale", il testo che ho scritto insime e, nel parco archeologico di Brescia, al cospetto della meravigliosa Vittoria Alata.

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