Don Fusari, il prete della bellezza

Don Fusari, il prete della bellezza
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L’intervista a Don Giuseppe Fusari, direttore del museo Diocesano di Brescia e stimato studioso d’arte, in cui verrà affrontato il tema della valorizzazione del patrimonio culturale del Garda. Citato dal neo eletto sindaco di Desenzano Guido Malinverno come esempio di moderna ed efficace gestione delle bellezze storiche e collaboratore dell’associazione gardesana X-Plora spiegherà cosa vede il suo sguardo ogni volta che si affaccia sui nostri territori.
Buongiorno Don Fusari. Partiamo da una domanda diretta: oggi il Lago di Garda è visto dai più come località turistica balneare. Rende giustizia al patrimonio artistico che abbiamo?
«Per capire la “fortuna” del Garda dovremmo fare qualche passo indietro. La cosa che mi ha sempre colpito del lago è la numerosa presenza di tedeschi, questo penso sia un dato evidente a tutti. L’amore di queste persone per il Garda nasce nei versi di Goethe, scrittore e poeta tedesco che ha più volte elogiato la bellezza lacustre. Ed è proprio a causa dell’amore per la bellezza che il Benaco è diventato meta obbligata creando intorno a questi lidi un vero e proprio mito. Al tempo la bellezza della cultura e quella della natura andavano di pari passo, ancora oggi c’è chi, con un certo spessore culturale, riconosce questa completezza e ne apprezza le bellezze».
Oggi quindi c’è uno sbilanciamento verso la sola bellezza naturale?
«La vocazione attrattiva del Garda non deve limitarsi a considerarla una pozza d’acqua baciata dalla fortuna. C’è di più. Questo lago comunica qualcosa che altri non hanno».
Ovvero?
«Non è un caso che intorno al Garda gli insediamenti siano stati caratterizzati da abitazioni di un certo tipo, da chiese e bellezze artistiche di grande importanza. Una bellezza trascina l’altra. In un contesto naturale pregevole come quello lacustre l’uomo è stato capace, negli anni, di costruirvi del bello. La bellezza sul Garda ricorda una diatriba seicentesca, quando ci si chiedeva se fosse meglio la natura nella sua perfezione o l’arte nella sublimazione della prima. Oggi certe dispute sono “superate” ma ciò non può non farci pensare all’intreccio di questi due elementi, intreccio evidente nello sviluppo del Garda per molti secoli».
Il Garda può essere riscoperto sotto questo punto di vista?
«Non potrei immaginare il Garda senza l’impronta umana. Le due bellezze, artistica e culturale sono fuse insieme.
Faccio un esempio: la chiesa di Maderno, visibile dalla strada di Gargnano. La sua posizione è stata pensata in una scenografia creata nel ‘700 che ancora oggi si presenta all’osservante in tutta la sua magnificenza. O penso a Salò, quando si scende verso la città e si vede la cupola del Duomo. Il dialogo fra il mattone delle abitazioni e la cupola, le forme, come si muove la struttura dei tetti delle case che fanno contrappunto al Duomo stesso non può non far pensare ad un gusto del bello di chi l’ha ideato. Penso anche alla Darsena di Desenzano, luogo di approdo antistante a Palazzo Todeschini. La volontà era di istituire in quel luogo una struttura che fosse la porta della città. Oggi quel concetto è sfumato, il Porto Vecchio non è più così centrale. L’ idea della porta sull’acqua veniva da lontano, da Venezia, dalla cultura che costruiva gli edifici per farli specchiare nell’acqua, per farli apparire fragili e mastodontici allo tesso tempo. Emulare e rispondere alle architetture della Serenissima era un tentativo di edificare quanto più possibile il bello. Potrei parlarne per ore. Potrei parlare delle chiese di Toscolano, Manerba, San Felice, Gargnano, Limone, Riva... Il Garda ha tantissimo da offrire».
Il gusto per il bello si è perso nel tempo?
«Anche nella storia più recente abbiamo avuto esempi di dialogo simbiotico fra arte e natura, basti pensare al Vittoriale (con il suggestivo contrasto tra la freddezza e la durezza esterna e i ricchi interni) o a Villa Feltrinelli. Il problema dell’urbanizzazione selvaggia è nato nel momento in cui si è capito che il territorio poteva essere sfruttato. Il rischio del turismo di massa sviluppatosi post anni ‘60 è che non ci siano spazi e non ci sia il tempo per pensarne a nuovi in modo armonico. E’ facile cedere alla tentazione del “tutto e subito”, tentazione che d’altra parte finisce inesorabilmente per stonare, basti pensare a quanto successo sulla costa ligure con la costruzione di enormi palazzi. Oggi non siamo sul Garda a questi livelli però l’armonia tra uomo e natura è durata per secoli, sarebbe un peccato assumersi la responsabilità storica di essere stati quelli che l’hanno distrutta».
Però qualcuno potrebbe obiettare che lo sviluppo, anche quello urbano, porti occupazione e faccia economia.
«La giustificazione per molti è: “Bisogna lavorare e vivere”. Io penso che sia sempre meglio “vivere bene”. Forse in passato si aveva meno, ma più di qualità. Non servono acculturati o élite illuminate per lo sviluppo di un territorio. La tanto citata armonia fra uomo e natura è un valore aggiunto per tutti. Anche gli abitanti del Garda di ieri amavano il paesaggio, seppur il livello culturale fosse mediamente più basso. Diversamente non ce lo avrebbero donato così bello».
Lei è considerato un esempio di tutela e valorizzazione dei beni artistici. Le lodi al Museo Diocesano che lei dirige sono arrivate anche nelle tribune elettorali di Desenzano facendo della sua gestione un vero e proprio modello.
«Il principio che muove ogni singola iniziativa è che “ciò che ho ricevuto non può essere paralizzato”. Per valorizzare devo far conoscere e per far conoscere devo reinventare. Oggi sono tante le persone che vendono la propria gestione come una vera e propria valorizzazione, difficile capire quale sia la strada giusta. Io mi accorgo che le persone apprezzano quando vivono ciò che visitano. Faccio un esempio: è capitato avessimo un quadro molto prestigioso. Potevamo limitarci ad una visita guidata ma abbiamo preferito organizzare un percorso con musica e letture che facesse vivere le sensazioni e i ritmi del Neogotico al visitatore, una “strada” che conducesse al quadro permettendo di assaporarne al meglio i contenuti».
Bisogna aprirsi di più?
«Esatto. Ci vuole un attimo a far vedere una stanza segreta, una sagrestia non aperta al pubblico o a rendere una piazza un posto di aggregazione dove le persone si incontrano. Bisogna volerlo. Mi sono accorto che non esiste modo migliore per avvicinare le persone all’arte e al bello. Prendere le persone, portarle in un ambiente e ricreare quella sintonia è una scommessa che chi ha l’onere e l’onore di dover fare deve accettare se vuole dare importanza concreta al concetto di “valorizzazione”. Diversamente è sterile conservazione».

 

Da Gardaweek del 7 luglio

di Alessandro Sahebi


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