Una tirocinante a Valencia: «Fatico a trattenere le lacrime»
Intervista - Dentro la tragedia dell’alluvione nel sud della Spagna
Alessandra Compagnoni, 30 anni, è specializzanda in Igiene presso l’Ospedale Clinico Universitario di Valencia. Ha lasciato da qualche anno Carpenedolo e risiede nel cuore del centro storico con il compagno José, nel caratteristico quartiere del Carmen. La incontriamo di ritorno da una donazione di sangue promossa dalle autorità sanitarie per fronteggiare l’emergenza in corso, visibilmente scossa dalla drammatica situazione che vive la città e le aree circostanti.
Alluvione
«Valencia e le zone vicine sono state travolte da un temporale di portata eccezionale: è piovuto quanto di solito piove in un anno. Forti raffiche di vento e perfino tornado hanno aggravato la situazione. Qui in città, il peggio sembra passato, ma rimane tutto bloccato. La metropolitana, allagata, è chiusa, inclusa la linea che conduce all’aeroporto, e i viaggiatori sono costretti a prendere un taxi fino a Quart de Poblet per poi proseguire a piedi. Le scuole sono chiuse, quindi oggi ci sono molti bambini per le strade. Alcuni miei amici non riescono a rientrare a Valencia da Madrid e Barcellona perché i treni sono sospesi e le strade d’accesso sono chiuse» racconta Alessandra.
La storia di Valencia ci mostra come la città si sia salvata da una devastazione peggiore. Dopo l’alluvione del 1957, che inondò gran parte della città, il fiume Turia fu deviato fuori dal centro per evitare future esondazioni.
Il racconto
«Nel mio quartiere, un murale ricorda quel tragico evento» continua Alessandra. Tuttavia, il problema attuale è che il nuovo corso del fiume è collegato a torrenti e canali di irrigazione che attraversano i paesini dellOrto Sud, una vasta area agricola. Le intense piogge hanno fatto sì che il Turia in piena riversasse enormi quantità d’acqua in questi canali, provocando alluvioni nei paesi abitati da molti pendolari. Anche il fiume Magro è esondato, coinvolgendo località come L'Alcúdia, dove amici e colleghi di Alessandra hanno perso le proprie case e automobili, e sono rimasti senza energia elettrica, acqua e comunicazioni per ore. «Nei supermercati mancano beni essenziali come acqua e cibo, e purtroppo si sono registrati episodi di sciacallaggio. Le immagini delle zone colpite, a soli dieci minuti di auto dalla città, sono angoscianti: automobili ammucchiate e trascinate dalla furia dell’acqua, case invase dal fango e danni enormi. A Picanya, una passerella sul fiume è stata distrutta. A peggiorare la situazione è stato il ritardo della Protezione Civile nell’attivare l’allarme. Alle otto del mattino, era già chiaro che il disastro era imminente, ma l’allarme è arrivato solo alle otto di sera, quando ormai c’erano già delle vittime. Ho pensato si trattasse di un allarme bomba quando è iniziato a suonare; mi sono accorta solo dopo che era l’allerta sul mio telefono. Molti lavoratori del centro commerciale di Alfafar e dell’Ikea sono rimasti intrappolati e ci sono stati purtroppo dei decessi. Tra Alfafar e Benetússer, in un sottopassaggio molto simile a quello che c’è a Montichiari sotto al municipio, si è formato un cumulo di auto ammassate dall’acqua. Si è parlato di centinaia di morti, ma i numeri restano confusi. Ogni vita salvata è accolta come una festa» racconta Alessandra, facendo riferimento ai racconti drammatici di persone trovate vive per miracolo. «Un bambino di pochi anni è stato trovato solo e i genitori sono dispersi, non si sa chi sia, mentre una donna è rimasta chiusa in casa con il cadavere della cognata morta tre giorni prima».
Situazione critica
Dal punto di vista sanitario, la situazione è particolarmente critica. Alessandra, che lavora nel settore dell’igiene, si sta preparando a gestire le possibili conseguenze epidemiche. «Al momento sto facendo un tirocinio al Servizio Centrale di Salute Pubblica, dove mi occupo di vigilanza epidemiologica per malattie trasmissibili. Ora qui il rischio è che insorgano epidemie come colera, epatite A o tetano, a causa delle acque stagnanti e della presenza di cadaveri. La situazione mi ricorda quella dell’epidemia di colera a Londra, studiata da John Snow, dove l’acqua contaminata portò all’epidemia. Forse una vaccinazione di massa potrebbe essere necessaria».
Alessandra si sente impotente di fronte a tanta distruzione, come i suoi «connazionali». «Mi sento in colpa per non aver potuto aiutare a rimuovere il fango: vivo in una zona difficile da raggiungere e non ho attrezzi, né mi sento abbastanza forte fisicamente per affrontare un compito così gravoso. Avrei voluto fare di più, ma non ne avevo i mezzi»- spiega commossa.
Nonostante la quiete apparente, l’allerta resta alta e soprattutto ora deve iniziare la ricostruzione. «Sono a casa dal lavoro, pronta nel caso venga richiamata. Le autorità hanno chiesto a chi abita più vicino all’ospedale di coprire eventuali turni di guardia dei colleghi che risiedono nei paesi colpiti. Per fortuna, sembra cheValencia capitale sia al sicuro, ma sono molto preoccupata per le località vicine».