Terapia Intensiva aperta per curare i pazienti

Terapia Intensiva aperta per curare i pazienti
Pubblicato:
Aggiornato:

Aprire un Reparto di Terapia Intensiva e Rianimazione per renderlo più sicuro per i pazienti. Quello che potrebbe sembrare un paradosso, in realtà è un metodo diffuso in buona parte dell’Europa e da oltre tre anni anche all’Asst del Garda. Sotto questo punto di vista il nosocomio del Garda è una tra le strutture all’avanguardia di tutta la Penisola italiana. Del resto, anche se la Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva suggerisce di adottare le linee guida della Terapia intensiva aperta, non sono molti i reparti che hanno scelto di percorrere questa strada. I numeri, a tal proposito, sono scoraggianti e parlano di un esiguo 3% di Rianimazioni che hanno accolto l’innovazione. Tra questi, come detto, c’è l’unità operativa di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale di Desenzano-Asst Garda diretta dal dottor Nicola Petrucci. Visitando questo luogo ci si rende conto che il rapporto tra medico e paziente, con l’aggiunta dei familiari, sembra rispettare le teorizzazioni del filosofo Karl Jaspers. In uno dei suoi scritti, «Verità e verifica. Filosofare per la prassi», il teorico tedesco sosteneva l’importanza di porre sullo stesso piano il perfezionamento scientifico della medicina e il paziente con la sua umanità. Già, nel reparto diretto dal dottor Petrucci la teoria di Jaspers diventa pratica.

Dottor Petrucci, come è nata l’idea di creare una Terapia intensiva aperta?

«Tutto è nato quasi per caso, da un’esigenza particolare. Nel 2012 abbiamo avuto dei casi toccanti, in cui i familiari avevano necessità di un contatto più frequente e assistito con il malato e in quel momento ci siamo resi conto che un atteggiamento del genere funzionava sia per i pazienti che godevano di un miglior esito delle nostre terapie, sia per i familiari che erano molto più contenti e noi avevamo maggior gratificazione professionale».

La Rianimazione aperta è far partecipare i familiari al processo di cura. Una Terapia intensiva innovativa deve lottare contro diversi pregiudizi e perplessità. Quali sono e come si smentiscono nei fatti?

«In primis va detto che non c’è nessun rischio di portare dentro infezioni da parte dei familiari. Quando entrano nella stanza del paziente, non sono loro i portatori di germi. Come dimostrato da studi internazionali, siamo noi stessi portatori di germi. Prima questi reparti erano una sorta di cripte, qualcosa da salvaguardare. Ma sono paure infondate, perché il malato (soprattutto se non è in coma) viene aiutato molto dalla vicinanza del familiare. Anzi, più l’ambiente è domestico e meglio sta il malato. In un contesto del genere abbiamo abbattuto le barriere fisiche. L’unica cosa che chiediamo prima di entrare ed uscire è il lavaggio delle mani. E poi abbiamo abbattuto anche le barriere relazionali. I familiari parlano con gli infermieri e chiedono qualunque cosa. C’è un colloquio approfondito che avviene prima dell’ingresso e che coinvolge tutte le figure in gioco, ovvero sia medici che infermieri. In alcune circostanze ci avvaliamo della collaborazione di uno psicologo, che aiuta i familiari nei casi più delicati e anche il personale. Infine abbiamo eliminato le barriere temporali. Se prima si poteva entrare solo per 30 minuti al giorno, da noi è possibile stare con il malato tutto il pomeriggio».

Nel Reparto di Terapia intensiva e Rianimazione però ci sono anche innovazioni dal punto di vista estetico. Un ambiente più luminoso è un aiuto per pazienti e familiari?

«Sì. Abbiamo modificato l’ambiente, che di solito in questi reparti è un contesto cupo. Nelle stanze e nei corridoi che ospitano sei pazienti ci sono degli affreschi realizzati da professionisti. È un progetto finanziato per il 50% da aziende private e per il 50% dalla direzione aziendale. L’idea è dare luce all’ambiente ed eliminare l’aspetto che lega l’idea di rianimazione a qualcosa strettamente connesso con la morte. Tutto ciò crea un’ambiente familiare, come dimostra il libro posizionato all’ingresso del reparto in cui i familiari e i pazienti lasciano qualche pensiero e riflessione».

Una Terapia intensiva aperta favorisce tra i familiari l’idea di donare gli organi del malato che si trova in condizioni irreversibili?

«È senza ombra di dubbio uno degli effetti positivi. Viene favorita la donazione degli organi, perché si crea un rapporto di fiducia tra medico e familiari. Fino ad oggi non abbiamo mai assistito ad una opposizione. In quei momenti drammatici ciò che conta è quello che si vede, ovvero il rapporto con il medico. La massima trasparenza aiuta in contesti del genere».

Valerio Morabito


Seguici sui nostri canali