TESTIMONIANZA

"Teniamo la mano ai pazienti fino alla fine": l'intervista al neurochirurgo Massimo Gandolfini

medico responsabile del dipartimento di Neurochirurgia dell'istituto ospedaliero Fondazione Poliambulanza di Brescia, ha condiviso le riflessioni sulla sfida che il coronavirus ha lanciato alla medicina.

"Teniamo la mano ai pazienti fino alla fine": l'intervista al neurochirurgo Massimo Gandolfini
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"Teniamo la mano ai pazienti fino alla fine": l'intervista al neurochirurgo Massimo Gandolfini, medico responsabile del dipartimento di Neurochirurgia dell'istituto ospedaliero Fondazione Poliambulanza di Brescia.

L'intervista al neurochirurgo Massimo Gandolfini

“La medicina sta tornando a fare il suo mestiere: il dovere di un medico è infatti quello di tutelare la vita”. A dichiararlo è il dottor Massimo Gandolfini, medico responsabile del dipartimento di Neurochirurgia dell'istituto ospedaliero Fondazione Poliambulanza di Brescia. Un impegno, il suo, quotidiano e fatto di numerose sfide che tanti medici come lui sono chiamati ad affrontare, soprattutto in questo momento.

Lo abbiamo invitato a condividere con noi una riflessione rispetto alla situazione che si vive in ospedale e sui risvolti all’esterno.

Qual è il primo messaggio? 

“Il primo messaggio è quello di stare attenti e rispettare le norme a cui il Governo ci ha sottoposti, poiché sono l’unico presidio potenzialmente efficace, In questo momento, infatti, non c’è una terapia definitiva. In reparto ci avvaliamo della respirazione automatica, di dispositivi che facilitano l’ossigenazione del sangue e di terapie di contorno come antinfiammatori e antibatterici, che servono come palliativi”.

Medico, ma anche fervido credente: come coniuga i due punti di vista?

“Siamo al collasso, ma di fronte a questa situazione devo proprio dirlo: abbiamo fatto miracoli. Abbiamo moltiplicato i posti per la degenza e i letti in sala rianimazione con uno sforzo immane e valoroso di tutto il personale. Da persona credente ci tengo a sottolineare che questa epidemia ci deve insegnare la bellezza e il valore della vita, che non è un bene negoziabile. Questo momento ci aiuta a resettare le categorie culturali”.

In una recente dichiarazione ha ribadito ”Non definiteci eroi”: perché?

“Salvare vite è il nostro lavoro: abbiamo giurato di farlo a inizio carriera. Siamo coerenti con quanto previsto dal codice deontologico e sono contento che in questo momento di emergenza i medici stiano tornando a fare il proprio mestiere, tutelando la vita. In molti casi stiamo facendo medicina palliativa per lenire al massimo il dolore; sia chiaro: non c’è accanimento terapeutico, ma un accompagnamento dolce verso l’ineluttabilità della morte, qualora dovesse sopraggiungere”.

È vicino ai pazienti fino alla fine, accompagnandoli fisicamente in obitorio. Un messaggio per i cari che in questo momento non possono salutare per l’ultima volta i defunti?

“Parto da questo presupposto: siamo giganti coi piedi di argilla. Noi uomini andiamo sulla luna, ci impegniamo in studi grandissimi poi, un giorno, un filamento invisibile di Rna mette in ginocchio l’intera umanità. Siamo esseri vulnerabili e, anche se a volte è difficile da comprendere, la morte è un passaggio necessario: nonostante la paura, è inevitabile. In questi giorni mi reco all’obitorio della Poliambulanza per recitare preghiere che accompagnino le anime dei defunti dal Padre. È un modo per rassicurare i parenti e per dare sollievo a chi è appena mancato. Queste persone non muoiono sole: ho visto infermiere piangere, tenere la mano ai pazienti fino alla fine e provare grande empatia. Certo: le famiglie non sono fisicamente presenti, ma sappiate che ci siamo noi a dare sostegno ai vostri cari”.

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