Sibilla, la preside vincente più giovane d’Italia

Sibilla, la preside vincente più giovane d’Italia

È indubbiamente la preside più giovane d’Italia quella che riveste il prestigioso ed impegnativo ruolo all’Istituto Secondario di primo grado «Blaise Pascal» di Castiglione delle Stiviere, una posizione raggiunta in brevissimo tempo grazie alle indubbie doti di organizzazione, meticolosità e passione per il lavoro che contraddistinguono Sibilla Peverada, la docente che ha compiuto scelte coraggiosissime, quasi impensabili per molti suoi coetanei e non solo.

Arrivata al Pascal nel settembre 2015 come insegnante di lettere, dopo pochi mesi è stata notata dall’ente gestore che ne ha rilevato le indubbie capacità gestionali e l’enorme voglia di mettersi in gioco per rinnovare l’istituto e che ha deciso, dopo il pensionamento della preside uscente Grazia Semeraro, di offrirle il posto vacante come dirigente. Una sfida che la preoccupava ed emozionava allo stesso tempo e che ormai appare a tutti come vincente. 

Così giovane e già ai vertici dell’istituto scolastico. Qual è stato il suo percorso?

«Conseguita la laurea, ho trovato subito impiego in un’agenzia del lavoro dove selezionavo personale, un’attività veramente bellissima. La mia vocazione, però, era un’altra e mi sono iscritta al Tirocinio Formativo Attivo a Milano che ho seguito per quasi un anno. È stata la scelta vincente con grandi soddisfazioni che ho raccolto nel Liceo Maxwell affiancata da una tutor e da colleghi bravi e preparati. Se avevo ancora dei dubbi, quell’esperienza mi ha dato la conferma di ciò che volevo fare in futuro. Abilitata a luglio del 2015, ho inviato alcune lettere di presentazione nei vari istituti scolastici e sono arrivata al Pascal dove si erano liberate proprio quell’anno alcune cattedre. Sono stata assunta come docente part time e poi a giugno 2016, quando la Preside Semeraro è andata in pensione, mi è stata offerta la carica. Non nascondo che la scelta mi impauriva e mi emozionava non poco, ma credo di aver fatto decisamente la cosa giusta.»

Quali sono i segreti per amministrare bene un istituto paritario?

«Servono sicuramente buone capacità organizzative, flessibilità e tanta voglia di fare. Essendo un istituto paritario, cioè una scuola privata legalmente riconosciuta dallo Stato, l’organizzazione didattica deve assolutamente essere curata nei minimi particolari e si deve basare soprattutto sullo sviluppo delle competenze e delle abilità. Bisogna saper strutturare il lavoro del team docenti affinché risulti funzionale e stimolante per le classi anche attraverso lavori di gruppo, che mettono in luce capacità che con le lezioni frontali e lo studio soggettivo non emergerebbero mai del tutto. Tutti gli alunni, nessuno escluso, devono sentirsi parte del progetto e imparare a sviluppare quelle abilità che serviranno loro nel futuro, quali il saper fare sintesi, lo schematizzare, il lavorare in team con un tempo limitato, il sapersi assumere responsabilità, l’essere precisi. Insomma una visione innovativa dell’insegnamento che fa la differenza qualitativa di una scuola. Ci vuole anche tanta assertività per gestire il tutto sia nel rapporto con i docenti che con le famiglie degli alunni».

Quanto sono cambiati i giovani d’oggi rispetto alla sua generazione? Di quali stimoli hanno bisogno?

«Questa è una domanda curiosa perché, in realtà, non appartengo ad una generazione tanto lontana da quella dei miei studenti eppure è cambiato tutto. Ormai le generazioni mutano in un battito di ciglia. Quando andavo a scuola io la diffusione di Internet e dei social non era così massiccia, ci si parlava molto di più. Oggi i ragazzi hanno tempi di attenzione brevissimi: un film di 90 minuti per loro è un’era geologica. Il tempo liquido che scivola via nella noia dopo pochissimi minuti è una mentalità acquisita, non tanto un’abitudine e con questo dobbiamo fare i conti. Le lezioni devono perciò saper essere il più varie possibili: si può spiegare frontalmente per venti minuti al massimo ma poi bisogna optare su altre attività che possano stimolarli giocando soprattutto sulla creatività e sulla curiosità. Di non dissimile alla mia adolescenza sono rimaste le insicurezze legate al futuro che portano alla non voglia di impegnarsi. Molti ragazzi pensano che sia inutile studiare con profitto tanto non troveranno mai il lavoro che sognano. È su questo pensiero negativo che noi docenti possiamo e dobbiamo agire con forza, infondendo loro il coraggio e la sicurezza che con serietà e impegno si possano raggiungere grandi traguardi».

La sua età è un vantaggio o una svantaggio nei confronti di colleghi e alunni?

«Nei confronti degli alunni non è né un vantaggio né uno svantaggio. Con loro conta l’atteggiamento, come ci si pone. Gli alunni ti osservano e da te imparano l’organizzazione, la precisione, il rigore. È l’esempio che conta. Nei confronti dei colleghi sicuramente era il nodo cruciale che più mi preoccupava quando ho dovuto decidere se accettare o meno la presidenza. Dover coordinare persone con un’esperienza di lungo corso, molto più della mia, era a dir poco imbarazzante ma è andata bene. Non è nel mio stile impormi e voler insegnare il lavoro a chi lo svolge da sempre. Sono stata ben accolta e il confronto è sempre stato rispettoso, in fondo siamo tutti professionisti che lavorano insieme per il bene dei ragazzi».

Qual è il motivo che l’ha spinta a rimanere in un istituto privato nonostante avesse la possibilità di entrare nel pubblico? Differenze e peculiarità tra pubblico e privato?

«Ho vinto il concorso nazionale nell’estate del 2016 e avrei ottenuto la cattedra dal primo di settembre di quest’anno ma ho deciso di restare in primis perché ho trovato un ambiente veramente accogliente, poi perché non mi piace lasciare il lavoro a metà. Come preside ho strutturato cambiamenti che devono ancora maturare e non me la sentivo di abbandonare qualcosa che sento come mio. So bene che nel pubblico non avrò altre possibilità ma nella vita mi sono sempre arrangiata e in caso lo farò anche questa volta. Le problematiche che emergono nella scuola media non sono molto differenti dal pubblico al privato: gestione della disabilità, delle difficoltà di apprendimento, presenza di alunni stranieri anche se in numero minore, piccoli episodi di bullismo. La differenza la fa l’ambiente che, essendo molto più piccolo, permette a noi docenti di vedere subito i problemi e circoscriverli velocemente o attuare misure ben precise per risolverli. Nella scuola privata gli insegnanti sono sempre monitorati e la loro disponibilità nei confronti delle famiglie è massima in qualsiasi frangente».

Ampliamo il panorama. L’istruzione in Italia funziona? Cosa andrebbe migliorato e cosa invece va già bene?

«Andrebbe migliorato sicuramente l’approccio nei confronti dei disabili e degli alunni con disturbi dell’apprendimento per raggiungere un’inclusione sempre maggiore. Occorre maggiore coerenza tra percorsi annuali e prestazioni in sede d’esame e personalizzazione, riferita non solo ai ragazzi in difficoltà ma a tutti gli alunni in genere. Più spazio poi all’Educazione Civica, materia molto amata, che finalmente dall’anno prossimo sarà valutata autonomamente».

In conclusione, Sibilla Peverada come si vede fra 10 anni?

«Io tra dieci anni mi vedo sempre qui, non cambierei questo posto per nulla al mondo».