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Qualità dell'aria: Brescia tra le città più inquinate

Di Simine: “Le emissioni derivanti dalla zootecnia, in una delle regioni europee con la maggior concentrazione di animali allevate nelle stalle, sono state troppo a lungo sottovalutate come fonte emissiva, e quindi non registriamo in questo ambito i miglioramenti che invece ci sono stati in altri settori, dalle emissioni industriali a quelle domestiche"

Qualità dell'aria: Brescia tra le città più inquinate
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Qualità dell'aria: Brescia tra le città più inquinate.

 

Qualità dell'aria: Brescia tra le città più inquinate

Un anno, il 2023, che si chiude con novità importanti a livello regionale: si tratta infatti dell’anno con l’aria migliore di sempre, o almeno da quando la sua qualità viene misurata, attraverso il sistema delle centraline di monitoraggio installate da ARPA Lombardia.

 

 

“Cogliamo questi segnali di miglioramento con cauto ottimismo, ma sappiamo che la strada da fare per raggiungere livelli adeguati di qualità dell’aria è ancora molto lunga e richiede politiche più impegnative, che ancora non vediamo, soprattutto sui versanti della mobilità sostenibile e delle emissioni di fonte agricola,” dichiara Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia. “In ogni caso, è una strada da percorrere con maggiore determinazione per i molti benefici che si possono generare, oltre alla riduzione dello smog: una maggiore qualità dell’ambiente urbano, la riduzione della congestione stradale, il contenimento delle emissioni climalteranti e degli impatti  della zootecnia intensiva, per non parlare dei benefici sanitari”.

 

Un quadro positivo ma con alcune eccezioni

In tale quadro positivo, però, Brescia svetta tra le città più inquinate  L’aria migliore, infatti, è stata rilevata nel quadrante nord-occidentale della regione, nelle valli alpine ma anche nei capoluoghi delle aree più densamente urbanizzate e industrializzate della regione, da Varese a Bergamo passando per Como e Lecco. Città in cui la media annuale del Pm10 si è mantenuta su valori vicini a 20 microgrammi per metro cubo (dai 18 di Lecco ai 24 di Bergamo), e il numero delle giornate con aria irrespirabile è rimasto ben al di sotto del parametro indicato dalla normativa comunitaria, peraltro in fase di revisione (le 35 giornate/anno con livelli di PM10 superiori ai 50 microgrammi per metro cubo): nel 2023, o meglio fino alla data odierna, i superamenti sono stati solo 4 a Varese e 19 a Bergamo.

 

Un quadro di qualità dell’aria che si mantiene ancora al di sopra delle raccomandazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che indica per il PM10 un valore soglia medio annuo pari a 15 microgrammi per metro cubo, ma che vede questo traguardo finalmente più raggiungibile. Per tentare di fornire una interpretazione del deciso miglioramento della qualità dell’aria in queste città, si può notare che, dai dati dell’inventario emissivo regionale (INEMAR), si tratti dei capoluoghi delle province lombarde in cui la fonte prevalente di emissioni di particolato primario è costituita dalla combustione di legna (per riscaldamento domestico). Il miglioramento misurato potrebbe dunque indicare, almeno in parte, un miglior uso degli impianti termici delle abitazioni, e in particolare un sempre minor ricorso ai micidiali caminetti aperti.

Un quadro da migliorare

‍Decisamente peggiore, e lontanissimo dalle raccomandazioni OMS, il quadro nei capoluoghi padani della Lombardia orientale, con Cremona, seguita da Mantova e Brescia, che svettano nella classifica delle città più inquinate. Qui la media annua, seppure in miglioramento rispetto agli anni passati, si ferma ad un valore intorno ai 30 microgrammi per metro cubo (31 a Cremona, 29 a Brescia, Mantova e Lodi). Mantova è anche prima per numero di giorni con aria irrespirabile (60 nel 2023), ben al di sopra dei 35 giorni imposti dalla norma europea.

 

Una situazione che, oltre alle condizioni atmosferiche di minor ricambio dell’aria, riflette anche la persistenza delle emissioni di fonte zootecnica, causa principale, insieme al traffico veicolare, della formazione del particolato secondario, ovvero quello che si genera direttamente in atmosfera per effetto della reazione chimica tra l’ammoniaca rilasciata dagli allevamenti intensivi, tutti concentrati nella pianura lombarda orientale, e gli ossidi di azoto che esalano dagli veicoli su strade e autostrade, in particolare da quelli a propulsione diesel.

 

Milano, insieme alle vicine Monza e Pavia, quest’anno non domina la classifica in negativo, ma occupa una posizione intermedia, con le polveri poco sotto i 28 microg/mc. Peggiore il dato per quanto riguarda il numero di giorni con aria oltre i limiti, che a Milano sono stati finora 49 su 35 consentiti, confermando un quadro che, nonostante l’indubbio miglioramento, è ancora lontano da un giudizio di salubrità. Sicuramente il quadro di mediocre qualità dell’aria è dominato, per queste città, dal traffico veicolare, sia urbano che delle vicine autostrade gravate dalla circolazione di mezzi commerciali, ma i dati forniti da ISPRA e da numerose ricerche che valutano la diffusione di inquinanti nel bacino padano certificano che, perfino nel centro di Milano, il contributo legato alle emissioni di fonte zootecnica risulta tutto fuorché trascurabile.

 

“Le emissioni derivanti dalla zootecnia, in una delle regioni europee con la maggior concentrazione di animali allevate nelle stalle, sono state troppo a lungo sottovalutate come fonte emissiva, e quindi non registriamo in questo ambito i miglioramenti che invece ci sono stati in altri settori, dalle emissioni industriali a quelle domestiche,” spiega Damiano Di Simine, responsabile scientifico di Legambiente Lombardia. “Purtroppo, dobbiamo dirci con onestà che, sebbene ci siano importanti margini di miglioramento legati alle tecnologie e alle buone pratiche agricole, nella nostra regione occorre anche prendere seriamente in considerazione una strategia di riduzione del numero degli animali concentrati negli allevamenti, in quanto si tratta di un dato fuori scala rispetto alla possibilità di gestire una quantità di liquami che eccede fortemente il fabbisogno delle colture, e che pertanto è inevitabilmente destinata a produrre inquinamento di acqua, aria e suolo”.

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