Picchia la figlia che si oppone al matrimonio combinato

Dopo le ennesime cure al Pronto soccorso, le sorelle hanno avuto il coraggio di denunciare i genitori e il fratello

Picchia la figlia che si oppone al matrimonio combinato
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La "colpa" della figlia? Aver detto continui "no" al matrimonio combinato dalla famiglia. Rifiuti inaccettabili per il padre che li ha puniti con insulti e percosse. Un incubo fermato dalla Polizia di Stato

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Il matrimonio combinato

L'intervento della Polizia di Stato, diretta e coordinata dalla Procura della Repubblica di Brescia, è avvenuto nei confronti dei genitori e del fratello maggiore di quattro ragazze pakistane destinatari di un’ordinanza di custodia cautelare disposta dal gip del Tribunale di Brescia. Le giovani (due maggiorenni e due ancora minorenni) nelle scorse settimane, dopo le ennesime
percosse, si erano recate al Pronto soccorso, dove, grazie anche all’aiuto degli addetti alla rete antiviolenza, avevano raccontato le loro vicissitudini familiari. Dopo aver collocato le ragazze in una struttura protetta, sono state immediatamente avviate da parte della sezione specializzata della Squadra Mobile le indagini che hanno permesso di ricostruire e riscontrare le reiterate violenze subite nel tempo dalle vittime, che già in precedenza si erano più volte recate in ospedale per le lesioni subite, ma le avevano addebitate ad incidenti domestici.

Le minacce, le botte e l'epilogo

Ad indurre le giovani a raccontare la loro drammatica situazione sono state le pressanti richieste rivolte alla maggiore delle sorelle di recarsi in patria per contrarre un matrimonio combinato con un connazionale che sarebbe stato scelto dagli stessi genitori. Al rifiuto della figlia, il padre, in più occasioni, ha evocato la vicenda di Sana Cheema, che si ipotizza possa essere stata uccisa proprio perché aveva rifiutato un matrimonio combinato. A carico di tutti gli indagati (padre, madre e fratello), che sono accusati di maltrattamenti in famiglia, lesioni personali e induzione al matrimonio è stata applicata la misura cautelare del divieto di avvicinamento alle vittime e per i genitori anche quella della sospensione della responsabilità genitoriale.

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Un altro caso a Verona, prima ancora Hina

Un mese dopo l'omicidio di Sana, a Verona un'altra ragazza pakistana era stata riportata in patria e costretta ad abortire, dopo esser rimasta incinta. Per fortuna era sopravvissuta.

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Impossibile infine ricordare la vicenda di Hina Saleem, la ragazza pakistana che, sempre a Brescia, ormai dodici anni fa, a soli 20 anni, fu uccisa a coltellate dal padre, con l’aiuto di altri familiari, perché «troppo occidentale».

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