Manerbio-RONCADELLE

Omicidio Carbone, la sentenza: tre ergastoli, due sono bresciani

I giudici di primo grado hanno condannato al massimo della pena Leonardo La Grassa, di Cologno Monzese, Edoardo Sabbatino, di Manerbio, e Giuseppe Del Bravo di Roncadelle

Omicidio Carbone, la sentenza: tre ergastoli, due sono bresciani
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Omicidio Carbone, la sentenza: tre ergastoli, due sono bresciani. I giudici di primo grado hanno condannato al massimo della pena Leonardo La Grassa, di Cologno Monzese, Edoardo Sabbatino, di Manerbio, e Giuseppe Del Bravo di Roncadelle.

Massimo della pena per i tre imputati per l'omicidio di Donato Carbone avvenuto a Cernusco sul Naviglio il 16 ottobre 2019. La sentenza di primo grado è stata emessa oggi lunedì 15 giugno 2021 dal presidente della Corte d'Assise presso il Tribunale di Milano, che ha pienamente accolto le richieste della pubblica accusa.

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Tre colpevoli per l'omicidio di Cernusco

Sono così stati condannati all'ergastolo per concorso in omicidio  Leonardo La Grassa, 73 anni di Cologno Monzese, in quanto mandante, Edoardo Sabbatino 58enne originario di Palermo, a lungo residente anch’egli a Cologno, trasferitosi poi a Manerbio, nel Bresciano, killer reo confesso,  e Giuseppe Del Bravo, classe ’79 di Roncadelle, complice. Alla lettura della sentenza la figlia della vittima Angela Carbone, presente in aula a tutte le udienze, è scoppiata in lacrime. Ha chiesto e ottenuto il risarcimento simbolico di un euro da ciascuno degli imputati, che dovranno sostenere anche le spese legali. "Io e mia mamma non vogliamo denaro da chi ha ucciso mio padre - ha poi spiegato - Volevamo solo che fossero condannati giustamente i responsabili".

Durante la giornata la Camera di consiglio della Corte era stata preceduta dall'intervento della parte civile, Barbara Biscardo, che si è associata alle richieste formulate nell'udienza precedente dalla pm Maura Ripamonti.

La difesa di La Grassa invece, ha chiesto l'assoluzione, sottolineando come manchi il movente e come sia inverosimile che uno che conosce territorio sia passato sotto telecamere proprio nei luoghi dell'omicidio e abbia buttato lui le armi nel Naviglio in punto tanto visibile (a Vimodrone). "Se fosse stato lui il boss, non avrebbe fatto gettare le due pistole allo stesso killer?", ha chiesto alla Corte.  Gli avvocati di Sabbatino invece, hanno chiesto di assolverlo dalla premeditazione e di concedere le attenuanti generiche, in virtù del suo contributo con la confessione. Una testimonianza la sua, che la parte civile ha definito invece piena di menzogne, tardiva e finalizzata solo scopo a ridurre il peso su di sé e a scagionare l'amico Del Bravo.

Secondo i legali difensori invece, le parole di Sabbatino hanno avuto un riscontro dagli indizi raccolti e hanno colmato alcune lacune nella ricostruzione della vicenda. "Il fatto che sia sceso nel box e che poi abbia dovuto chiedere a una signora di aprirgli il cancello per scappare dopo il delitto è indice del fatto che non c'era un piano - hanno sostenuto Francesco Bico e Vincenza Casarotto - Lui è sceso nell'autorimessa condominiale per sottrarsi alla vista di La Grassa, perché il suo intento non era ucciderlo (come invece voleva La Grassa), spaventarlo. Poi la situazione è degenerata". Hanno chiesto anche lo sconto di un terzo della pena come previsto dal rito abbreviato che avevano richiesto inizialmente, che però non è possibile applicare nei casi di omicidio premeditato.

Del Bravo (presente in aula, così come La Grassa, mentre Sabbatino era collegato in videoconferenza) ha rilasciato dichiarazioni spontanee sottolineando che lui accompagnava solo Sabbatino, ma non sapeva cosa poi lui facesse. "Del Bravo era un dipendente di Sabbatino - ha sostenuto il suo difensore Marzia Astri - Era il suo autista e come tale non veniva informato di ciò che lui faceva. Lo accompagnava e basta".

Argomentazioni che non sembra abbiano insinuato dubbi nei giudici della Corte che in un'ora e mezza hanno emesso la sentenza. Ora ne si attendono le motivazioni cui seguiranno i probabili ricorsi in Appello.

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