Montichiari, ecco la vita dopo chemio e trapianti

Montichiari, ecco la vita dopo chemio e trapianti
Pubblicato:

Ha subìto tre cicli di chemioterapia, due trapianti di midollo, l’asportazione della milza e ha superato un’emorragia cerebrale. La prima ad accorgersi che c’era «qualcosa che non andava» è stata Jacqueline, una meravigliosa gatta che ha permesso di far scattare il campanello d’allarme a Filippo Coppola, 39 anni, ex insegnante di religione al Manzoni di Milano. Nel raccontare la sua testimonianza è un fiume in piena, e parte proprio dall’episodio della sua adorata Jacqueline per puntare i riflettori proprio sul sesto senso del felino. Oggi racconta la sua esperienza senza perdere il sorriso, ha la battuta pronta e spiega di come la malattia più che un calvario sia stata un’opportunità per riscoprire la vita e tante nuove cose da fare. La sua gatta è stata la prima ad accorgersi che c’era qualcosa che non andava. Come ha fatto? «Avevo una gatta che era molto vispa, estremamente vivace, non stava ferma un momento. Saltava da una parte all’altra. Poi si accucciava sul mio fianco e restava immobile, quasi triste. Questa cosa si è ripetuta parecchie volte e mi chiedevo come mai avesse un comportamento simile. A quel punto, quasi d’istinto, mi sono toccato il fianco e mi sono accorto di un rigonfiamento».

A quel punto cos’è successo? «Sono andato dal medico. Mi ha fatto fare una serie di controlli ed è emerso che la mia milza era di 32 centimetri anziché 11. A quel punto restava “solo” da chiarire se si trattasse di un tumore alla milza o un problema ematico. Dopo altri esami, biopsie e controlli è arrivata la diagnosi: leucemia mielomonocitica cronica. Oltre che una malattia molto rara, colpisce nella maggior parte dei casi i bambini o le persone adulte. Solo lo 0.001% colpisce oltre i 40 anni... io ne avevo 36. Sono pochissime le persone che hanno questa patologia e ancora meno quella che l’hanno vinta... Io faccio parte di questa piccola parte e oggi mi ritrovo con una cicatrice di 42 centimetri sull’addome come ricordo dell’asportazione della milza che pesava 4 chili». Qual è stata la sua reazione di fronte a quella diagnosi? «Mi hanno consegnato una cartellina con 30 pagine nelle quali vi era tutto il mio quadro clinico. Il primo pensiero non è stato per me o di paura, ma di preoccupazione per la mia famiglia, per mia madre. Ma io sono un ottimista cronico, vedo sempre il bicchiere mezzo pieno e questo ritengo mi abbia aiutato molto. Tant’è che il mio pensiero è andato subito a tutte quelle persone che, come me, stavano vivendo la stessa situazione. E mi sono chiesto come stavano reagendo. Non l’ho presa tragicamente, ma in modo molto spiritoso. Il mio modo di essere e il mio carattere mi hanno aiutato molto. Poi, ovviamente, ho avuto anche la fortuna di imbattermi in medici molto bravi e preparati». Poi cos’è successo una volta diagnosticata la malattia? «A quel punto dovevo cercare un donatore di midollo. Mio fratello e mia sorella erano compatibili fra di loro, ma non con me. Quindi si doveva guardare altrove. Poi si è paventata la possibilità di una ragazza tedesca alla quale oggi devo la vita. Ovviamente è impossibile che donatore e ricevente conoscano le rispettive identità, ma è un pensiero molto romantico quello legato a un estraneo ti doni la vita. E’ una donna molto generosa, inoltre, perché ha donato molto più liquido di quanto ne servisse e questo per me è stato fondamentale perché mi ha permesso di salvarmi la vita».

Ovvero? «Il mio iter è molto lungo. Nel 2013 c’è la diagnosi, nel 2014 il trapianto e inizio a fare le chemio. Perdo tutti i capelli, ma non sono mai stato male come tanti altri. Il problema è che poi ho una crisi di rigetto. Nel gennaio del 2015 ero gonfio come un pallone, ero ingrassato ed è emerso che, rarità nella rarità nel mio quadro clinico, ho un blocco renale. Torno in ospedale dove vivo poi sotto a un vetro e gli unici contatti con l’esterno avvengono attraverso un citofono. Poi il rigetto ha coinvolto l’intestino per il quale si è reso necessario un nuovo ricovero e al quale è seguita un’emorragia cerebrale. E di nuovo in ospedale. Nel frattempo si era staccato il midollo e ho dovuto sottopormi a un secondo trapianto. Meno male la ragazza tedesca ne aveva donata una quantità superiore al necessario, così ho potuto avere una seconda donazione, sempre da lei». Com’è cambiata la sua vita? «E’ stato certamente un periodo difficile, non riuscivo più a camminare, avevo fatto un anno di ospedale: avevo subìto tre cicli di chemio, due trapianti di midollo e una emorragia. Nonostante tutto ho sempre cercato di aiutare gli altri, di poter dare un po’ di forza a chi si trovava nella mia stessa condizione. I medici mi hanno “preso per i capelli” per tre volte, ma non mi sono mai dato per vinto e ho sempre cercato di puntare di più sulle cose positive che su quelle negative». Cos’ha trovato di positivo in tutto questo? «Ho smesso di fumare e ho perso 30 chili in un anno. Come avrei fatto a farcela in condizioni diverse? Poi la malattia, agli occhi degli altri, per me era un alibi fantastico. Se non avevo voglia di vedere qualcuno o di andare da qualche parte ero comunque giustificato. Per cui ho allargato i confini della mia libertà. Vedevo chi volevo vedere e per il quale provavo piacere nel farlo. La malattia mia ha permesso di muovermi così fra le pieghe del vero godimento, anche nelle piccole cose. Ho valutato al meglio le persone, ho visto chi era davvero disposto a starmi accanto: solo la malattia mi ha dato tanti consigli. E’ stata meravigliosa perché mi ha regalato una solitudine che mi ha permesso di riflettere su me stesso e mi ha donato il tempo, anche per le piccole cose». Oggi com’è la sua vita? «Ho recuperato il tempo perduto. Leggo molto, sono un appassionato di letteratura straniera, sto studiando il cinese. «Sono in piedi su una scogliera. Ritto sui sassi che sono gli ostacoli da sormontare. Accanto si staglia il mare, simbolo di trasparenza a ricchezza. Sullo sfondo c’è il cielo: la libertà per antonomasia».

Vittoria Maria Passera 


Seguici sui nostri canali