Lavorare senza andare al lavoro. Si chiama smart working e funziona

Anche il lavoro diventerà presto smart: agile, flessibile, senza orari né cartellini da timbrare. Il via libera a questa forma 4.0 è ufficiale: è arrivata il 10 maggio con l’approvazione della legge sullo smart working in Senato. Con grande compiacenza e soddisfazione anche da parte dei lavoratori che, secondo una indagine Doxa, condotta dall’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, trarrebbero molteplici benefici: più positività e produttività, maggior efficienza e assertività. In una parola, sarebbero più felici.
I dati positivi dello smart work. Lo smart working piace. Lo dimostrano i numeri: in soli tre anni, dal 2013 al 2016, gli smart worker sono cresciuti del 40 per cento. In Italia la schiera conterebbe 250mila professionisti liberi dalle burocrazie tipiche di uffici e lavori amministrativi. Perché loro lavorano da remoto, cioè da casa o anche in spazi di coworking, dove condividono ambienti con professionisti che hanno ruoli, mansioni e settori di interesse differenti, senza più la necessità di disporre di una scrivania fissa in un luogo ben definito o di timbrare il cartellino, né di rispettare a regime orari e obblighi di presenza. Insomma, secondo le statistiche, sarebbero smart ormai il 7 per cento dei lavoratori moderni, contro il 5 per cento del 2013. Ma non solo: gli smart worker sarebbero anche più soddisfatti rispetto alla media dei lavoratori, almeno stando ai risultati di un’indagine fra mille professionisti. Il 35 per cento si dichiarerebbe infatti più sereno, anche in funzione del fatto di poter meglio gestire vita privata e professionale, il 41 per cento più gratificato dai risultati raggiunti contro il 16 per cento dei lavoratori classici, mentre il 46 per cento affermerebbe di sentirsi entusiasta di questa libera professionalità. Un dato eccellente se si considera il ridotto 20 per cento del resto dei lavoratori.
L’identikit dello smart worker. Lo smart worker è principalmente impiegato o quadro o manager, ha un’età media di 41 anni e nel 69 per cento dei casi è uomo alle dipendenze di una realtà aziendale che ha già introdotto questa forma lavorativa. Bisogna però avere le carte in regola per essere un vero smart worker, secondo l’indagine le richieste attitudinali sarebbero molto chiare e precise: pare innanzitutto che occorra essere altruisti, cioè capaci di elargire il supporto necessario, efficiente ed efficace, ogni qualvolta venga richiesto, meglio anzi se lo si previene. Poi bisogna essere in grado di assumersi le proprie responsabilità, superando anche quelle strettamente correlate al compito richiesto, come a dire essere un po’ più che zelanti. La resilienza, ovvero la forza d’urto nell’abbattere gli ostacoli professionali e non, non può mancare, e come potrebbe in un lavoro dove giornalmente tutto è da costruire e non si sa mai cosa può toccare?
Cosa ci si guadagna. In questo panorama che pare solo di richieste e abilità, state tranquilli, ci sono pure dei pregi: infatti la professione smart concede si sviluppare una capacità di programmazione, che può migliorare anche del 42 per cento una volta che si è acquisita una perfetta coordinazione tra attività professionali e compiti e incombenze non meno impegnative e occupanti della vita privata, leggasi familiare o di coppia. Non ultimo, rinnova, premette cioè di restare sempre al passo con i tempi, infatti ogni scelta tecnologica, dall’uso degli strumenti giusti digitali e collaborativi, per capitalizzare e condividere la conoscenza, è lecita. Anzi d’obbligo, se l’obiettivo è arrivare al migliore risultato e performance raggiungibili. Tu sei dei loro?
Per alcuni è già realtà. Ci sono aziende avanti, quelle che rispetto la pensano al futuro. Chapeau a coloro che guardano alla redditività produttiva, considerando prioritaria anche la soddisfazione del proprio personale. Alcuni di questi esempi buoni in Italia esistono e qualunque sia il settore di applicazione le richieste per attivare lo smart working restano sempre le stesse. Fondamentalmente sono quattro: dipendenti e professioni nelle cui vene scorra il senso e lo stile delle leadership è la prima qualità, che pare anzi imprescindibile. Poi occorre la dimestichezza e capacità di cogliere le occasioni al volo, quelle che se lasciare perdere sono passate. Punto e basta. Quindi per non correre il rischio è la lungimiranza che deve fare percepire opportunità efficaci e intelligenti di formazione e sviluppo, realizzate in un ambiente che sia perfettamente organizzato e organizzativo, altrimenti tutto va a rotoli, come si dice. E in ultimo, ma forse diremmo in primis, serve chiarezza aziendale, perché se non sai cosa vuoi e cosa fai, a cosa punti, dove vai?
Mentalità e strumenti agili. È chiaro che in queste aziende smart tutto deve quadrare alla perfezione, ma sebbene 2+2 farà sempre 4, il risultato anziché frutto di una politica rigida, sarà merito di fattori elastici e strumenti innovativi. Come ad esempio il telelavoro, condotto cioè da postazioni diverse dalla fissità dell’ufficio o di un ambiente e soprattutto gestito da orari flessibili che non obbligano a entrare alla 9, fare la pausa pranzo alle 12 e chiudere baracca e burattini alle 18, anche se siete nel bel mezzo di un lavoro cruciale solo perché l’ora X è scoccata. Lo hanno capito tante aziende, anche italiane, perché pare che il 17 per cento delle nostre grandi imprese programmassero lo smart working già nel 2015, con un +9 per cento rispetto solo all’anno prima, mettendo in planning rinnovamenti in termine di maggiore flessibilità, attraverso policy su orari e spazi di lavoro, di dotazione tecnologica a supporto, di revisione del layout degli uffici o interventi sugli stili di leadership.
E anche nel pubblico… Una realtà solo privata? Affatto, le premesse sono buone affinché il lavoro ‘smart’ diventi anche una condizione di impiego pubblica. Infatti il 25 maggio scorso è stata approvata in conferenza unificata Stato-Regioni una direttiva del dipartimento di funzione pubblica che fissa modalità e criteri di utilizzo del lavoro agile anche per i dipendenti della pubblica amministrazione. Siate speranzosi, lavoratori 4.0!