Lascia l'Aeronautica e diventa missionario

Lascia l'Aeronautica e diventa missionario
Pubblicato:
Aggiornato:

Risultano misteriose le scelte che spesso la vita ci pone davanti ma, quando il Signore chiama, nessun cuore generoso può restare sordo alla sua voce. Questo è accaduto a Francesco Castoro, il missionario laico in Uganda al cui progetto è stata dedicata la serata dal titolo «I am black I see black» («Sono nero e vedo nero»), organizzata al Gardaforum dal Club 124 «Ali per la vita», dal suo instancabile presidente Alfonso Turchetti e magistralmente sostenuta da artisti della musica e del bel canto monteclarense come Adriana Naccari, Chiara Picchi, Silvia Polise, Samanta Tisi e Davide Manfredini che si sono prestati tutti in forma gratuita a sostegno dell’evento. Un legame di amicizia lega Turchetti a Castoro perché il missionario, prima di partire per l’Africa, è stato anch’egli in aeronautica e ha vissuto una vita ben diversa dalla scelta compiuta successivamente. «Ho sempre volato alto», racconta. «Sono un uomo la cui vita è stata costantemente mossa da grandi passioni e il cielo è da sempre la mia seconda casa. Ho trascorso 20 anni in aeronautica e come Sant’Agostino ero un uomo inquieto e che spesso, pur avendo avuto un’ottima formazione cristiana dai miei genitori, si discostava dai sacramenti. Mia madre, però, era per me un esempio concreto di carità: pur essendo la nostra famiglia non benestante, con 7 figli e il solo stipendio di mio padre ferroviere, non mancava mai di inviare ogni mese un’offerta ai poveri».

E Dio segue percorsi inspiegabili, più alti e affascinanti di quelli dei velivoli che Francesco ben conosceva e che si materializzarono nell’incontro con don Tonino Bello, vescovo di Molfetta. «Dio ci parla ancora oggi attraverso i suoi profeti», prosegue Castoro, «anche se spesso noi non prestiamo loro attenzione. Don Tonino era uno di quelli e le sue parole così semplici, che mi sottolineavano che Dio è la dove si porta gioia, mi hanno toccato profondamente». Il seme della generosità familiare, come pure le parole del vescovo Bello, restano nel cuore del missionario a germogliare fino al 1987 quando, durante la visita in India ad un lebbrosario, legge una scritta marmorea: «Nessuno ha il diritto di essere felice da solo». «È stata una folgorazione, come una chiamata. Mi sono reso conto di essere un privilegiato e di essere in debito di riconoscenza. Volevo offrire me stesso ad una causa. Volevo fare il missionario». Così, Francesco, mette in atto il suo proposito: atterra per la prima volta in Uganda, nel minuscolo villaggio di Kampala, il 3 giugno 1991 con don Vittorio Pastori per una vacanza «alternativa» che dovrebbe durare tre mesi e invece diverrà permanente.

«Dopo la morte di don Pastori avrei potuto tornare in Italia, alla mia vita di sempre, ma non me la sono proprio sentita: c’erano tanti poveri e tanti ammalati, soprattutto bambini, che avevano bisogno di aiuto. La vita ci pone davanti delle scelte e io in quel momento feci la mia». In Italia lascia gli affetti, le amicizie, i colleghi, le certezze ma il richiamo dell’Africa è più forte e la decisione irrevocabile: dopo essere rientrato in Patria per salutare tutti, si trasferisce a Matany in Karamoja dove rimane poco meno di un anno. In seguito allarga il suo orizzonte e si reca dove più c’è bisogno delle sue competenze, affrontando esperienze anche molto estreme di violenza e atrocità che lo segnano profondamente. Fra gli episodi che racconta, spiccano per crudezza quelli sul genocidio in Rwanda del 1994 quando, alla guida di un carico di aiuti umanitari, è testimone di barbarie talmente grandi che si chiede ancora oggi come possa l’uomo commettere simili atrocità. Oggi Francesco Castoro si trova a Kotido in Uganda dove coopera nella gestione logistica – finanziaria della diocesi, affronta ogni giorno nuove sfide e dove la vita dell’ex aviatore prende ancora slancio per volare sempre più alto.

Marzia Borzi 


Seguici sui nostri canali