L’arte dei piazzaioli patrimonio Unesco? Da Raffaele sì

L’arte dei piazzaioli patrimonio Unesco? Da Raffaele sì
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Quella di saper fare la pizza è considerata sempre di più una vera e propria arte. Lo sa bene Raffaele Montella che dopo la gavetta in una delle famiglie napoletane storiche che hanno scritto e che continuano a scrivere la storia  della pizza, come i Salvo, nel marzo 2015 ha inaugurato il locale in via Oberdan. A lui mercoledì sera l’onore di ospitare il presidente dell’«Associazione pizzaiuoli napoletani» che raccoglie più di 900 soci in tutto il mondo, Sergio Miccù, e il maestro pizzaiolo Umberto Salvo, insignito inoltre della carica di senatore della pizza nel 2015.

A Raffaele la targa di socio ordinario dell’Associazione conquistata «sul campo». «Vogliamo far capire che la pizza verace è una cosa,- ha commentato Montella - la pizza è un’altra. Dopo tanti anni è ancora una grande emozione» ha commentato mentre con i due maestri ha condiviso uno dei momenti più belli nella vita di questi «artisti»: l’unione di tutti gli ingredienti, come da tradizione comanda. In realtà per chi è ligio all’Associazione esistono regole ben precise per creare la vera pizza napoletana, un vero e proprio disciplinare presentato nel 2008 alla Comunità Europea dove nel 2010 è stato l’unico prodotto alimentare a ricevere il marchio Stg, specialità tradizionale garantita. La serata è stata anche l’occasione per presentare la raccolta firme che i due maestri stanno portando in giro per il mondo. La richiesta è quella di far diventare l’arte dei pizzaioli vero e proprio patrimonio Unesco, dal momento che la dieta mediterranea è inserita nella prestigiosa lista. «La richiesta a- ha spiegato Miccù - nasce da una vera  volontà di dare un riconoscimento e un’identità precisa al pizzaiolo. Per questo abbiamo deciso di candidare proprio il pizzaiolo per le liste Unesco. L’artigiano che dalla polvere bianca che ci ha donato Dio riesce a creare uno spettacolo del genere è da tutelare. Il problema sorge perché si è sempre parlato solo di pizza e non dell’operatore. C’è una lacuna nelle scuole alberghiere perché non viene insegnato il mestiere della pizza, uno dei più antichi al mondo che discende da quello dei panificatori».

Per questo sono già stato dal ministro della Pubblica istruzione e prossimamente lavoreranno per creare un’apposita qualifica. Ora rimangono concentrati  sull’obiettivo: ottenere l’iscrizione al patrimonio dell’Unesco. Negli anni scorsi non ce l’hanno fatta, ma ora hanno tutte le carte in regola e per dare ancor più valore alla richiesta hanno promosso una raccolta firme. «Siamo molto positivi e speranzosi - ha spiegato Miccù - abbiamo raccolto un milione e 200mila  firme per il momento e andremo avanti». Anche Papa Francesco, oltre a tanti ministri internazionali, hanno deciso di dare il loro sostegno. La presentazione della candidatura è fissata per il dicembre 2017 davanti ad una commissione appositamente riunita. Il disciplinare, quello che anche Raffaele segue, parla chiaro: il cornicione deve essere alveato, la maturazione deve avvenire «al punto giusto», estrema attenzione anche agli ingredienti, rigorosamente  italiani e in particolare campani. 

Per una buona pizza è sufficiente «un buon impasto, una buona lievitazione, un buon forno e un buon pizzaiolo», secondo Miccù. In questo modo in ogni parte del mondo è possibile ottenere una buona pizza. L’associazione è presente in tutto il mondo, Giappone,  America, Russia e Corea compresi, anche se il 65% del totale, quindi la stragrande maggioranza è campano. Miccù è stato anche in diverse Università americane per insegnare il mestiere: «In tanti pensavano che la pizza fosse nata in America. Gli abbiamo detto che, oltre essere nata a Napoli, siamo noi gli inventori del fast food. Da quando le 4 pizzerie storiche poste alle 4 porte della città facevano la pizza a portafoglio e noi la mangiavamo in piedi, senza neanche sederci». Di rilievo anche l’indotto che il cibo preferito dagli italiani e non solo porta, basti pensare che in Italia sono 35mila le pizzerie esistenti. «La pizza è  l’unico alimento mangiato e cucinato in tutto il mondo - ha concluso Miccù - e che non viene neanche tradotto».                                  


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