«La beneficenza? Con i fatti e non a parole»

«La beneficenza? Con i fatti e non a parole»
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Non tutti in paese erano d’accordo con la scelta di Comune, Parrocchia e alcune associazioni di tenere in cassa troppo a lungo e poi destinare parte dei fondi per i terremotati donati dai visanesi alla raccolta organizzata da un noto quotidiano locale. Tra queste voci fuori dal coro anche un imprenditore del paese, R.T., che da tempo è in prima linea in favore dei terremotati del Centro Italia che, in modo discreto e senza mai chiedere nulla in cambio, né tanto meno visibilità, sta cercando di aiutare in ogni modo.

Con umiltà, nonostante non gli manchi davvero nulla, e grande generosità ospita da novembre in un suo appartamento una famiglia, i genitori e i due figli di 18 e 23 anni, che con il terremoto ha perso davvero tutto. Ecco perché quando due settimane fa le associazioni del paese si sono riunite per decidere se continuare la raccolta che si sarebbe dovuta terminare in dicembre ha deciso che non c’era più tempo da perdere. Ha preso la macchina per  portare il suo concreto gesto di aiuto in provincia di Rieti. «Il giorno dopo la riunione in cui è stato detto che i soldi erano ancora fermi in attesa di un rilancio - ha spiegato il visanese - e in cui mi hanno comunicato che sarebbero andati al giornale, ho chiamato il sindaco perché  avevo piacere venisse con me a vedere come era la situazione». «Il Comune poco c’entra - ha risposto il sindaco Francesco Piacentini - il Comune poco centra, abbiamo fatto solo da coordinamento tra le associazioni che si sono incontrate e hanno deciso. Ma mi risulta che i fondi siano già stati  versati a gennaio. Abbiamo aspettato solo perché i cittadini stavano continuando a crescere».

Ma il visanese è deciso: «Non voglio più saperne di quelle prese in giro, mi spiace solo che anche il mio contributo sia andato in quella raccolta fondi poco chiara. Io avevo messo a disposizione fin da subito la mia auto, un viaggio tutto spesato per portare quanto si era raccolto direttamente alle popolazioni terremotate, ma non hanno accettato». La situazione non gli andava bene, non si è perso d’animo, si è quindi rimboccato le maniche, per la serie: chi fa da sé, fa per tre. Un contatto con l’Unione Agricoltori di Goito (Mantova) che aveva da poco inviato inviato un carico di fieno alle famiglie terremotate l’ha portato a Leonessa, in provincia di Rieti. Erano le 4 quando è partito, insieme al primo cittadino, alla volta della frazione Sant’Angelo.

Cinque ore più tardi davanti ai loro occhi un terribile spettacolo: case e stalle ridotte in macerie, muri crollati, travi spezzate. Ma soprattutto tanto abbandono da parte di chi aveva promesso di restare al fianco di quelle famiglie che, con il terremoto, hanno perso tutto. Tra queste anche  Marianna Iacobini e il suo vicino che ha dovuto assistere alla morte delle sue 30 pecore. «Ho girato le favelas - ha raccontato il visanese - e qui è come là. Bisogna provare a dormire nelle tende per capire cosa si prova. E lo Stato non li aiuta di certo, sono abbandonati a loro stessi. In casa Iacobini dormono in garage, vicino alla stalla delle mucche, in 6 in due letti, da agosto questo è il primo mese che possono fare la doccia, solo una tenda divide il letto dal piccolo bagnetto. Una situazione del genere non è accettabile». Hanno visitato quanto è rimasto della piccola frazione dove l’economia si basa essenzialmente sull’allevamento e l’agricoltura. Con i frutti della loro terra hanno voluto ringraziare il gesto solidale del visanese e di sua moglie, offrendo un pranzo a base di lasagne, carne dei loro maiali, patate al forno e prosciutto crudo. Ma R., non si aspettava nulla in cambio del suo gesto generoso dettato dal buon cuore di chi ha tutto e desidera solo far del bene. Ora si sta muovendo tra preventivi per poter donare una stalla a quel vicino di casa di Marianna che ha rischiato la vita, sfiorato dalla trave portante del fabbricato, mentre mungeva le sue pecore. Poche ore in terra laziale per capire che sono proprio gli animali e la terra a mantenere quelle famiglie così attaccate ai loro luoghi d’origine. Ma come la famiglia Iacobini ce ne sono tante altre, che vivono in situazioni d’emergenza e non possono più aspettare. Hanno bisogno di fare la doccia in condizioni degne, di nutrirsi, di poter ricostruire, ora e subito.


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