"Io, transessuale, voglio un lavoro normale"

"Io, transessuale, voglio un lavoro normale"
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 «Un giorno arriverà anche la tua felicità». Questo è il messaggio di speranza che un grande papà ha da pochi giorni mandato a sua figlia. Questa è la storia di Michelle Delmiglio, la storia difficile di una persona sempre capace di sorridere alla vita, anche nei momenti più bui. Michelle nasce a Brescia, figlia del comandante dei carabinieri di Salò Gino Delmiglio frequenta sin da piccola gli ambienti della caserma. «Mi sono sempre sentita una bambina - racconta Michelle - e così a 13 anni ho pensato di scrivere in un tema in classe che ero gay. Gli insegnanti chiamarono i miei genitori e ne nacque un vero e proprio scandalo, tanto che alla fine fummo costretti a cambiare scuola».

La vita di Michelle nel frattempo prosegue nonostante qualche diffidenza dei compagni di classe finché un giorno, all’età di 17 anni, a causa di un brutto incidente viene trasportata in ospedale. All’arrivo dei parenti al pronto soccorso Michelle appariva vestita da donna, fu in quel momento che i genitori capirono che proprio figlio in realtà aveva un animo, un cuore e un cervello da donna, capirono che Michelle era prigioniera del proprio corpo. «Papà mi ha aiutato e compreso, a 17 anni sono uscita di casa ma non mi ha mai negato un aiuto, è stato lui ad aiutarmi a coprire le spese per le protesi». Ed è proprio nel momento in cui Michelle prende il volo che arrivano le prime difficoltà, ma anche i primi successi: «Sono sempre stata una tenace lavoratrice - racconta Michelle - ma ciò che ostacola di più nel trovare lavoro è quella lettera “M” sui documenti». Ricevere un curriculum con un sesso differente dall’immagine esterna è senza dubbio un deterrente per i selezionatori.

A questo va aggiunta una buona dose di discriminazione omofoba: «Nel corso della mia vita ho subito molti attacchi, soprattutto sul mondo del lavoro: una volta avevo una mansione come lavapiatti e avevo ricevuto numerosi elogi. Ad un certo punto è cambiato il responsabile e dopo pochi giorni sono stata allontanata. Alle parole purtroppo si sono aggiunte le mani: due anni fa a Montichiari ho subito un’aggressione compiuta da ignoti, mentre mi picchiavano dicevano “trans di merda”». Oltre a Montichiari Michelle è stata aggredita anche a Salò, dove le contusioni hanno causato persino una rottura della protesi. Qualche giorno fa, fortunatamente, buone notizie per Michelle: la commissione medica ha appurato che la ragazza risulta sotto il profilo psicologico è idonea ad avere il cambio di genere sui documenti. Se il giudice darà il nulla osta, come ci auguriamo tutti, quella scomoda «M» potrà essere convertita in «F». Questo grazie ad una storica sentenza della cassazione che ha permesso il cambio di sesso prima dell’operazione definitiva. Per molti vorrà dire poco, per chi vive in questa situazione è tutto: dietro quella «F» c’è un riconoscimento formale della comunità, ha un valore simbolico - e pratico - immenso.

Purtroppo Michelle ha perso nuovamente il lavoro e la decisione del giudice sarà fondamentale per permetterle di trovare un’occupazione: «Credevo nel lavoro precedente - conclude la ragazza - così ho preso casa a Castiglione. Purtroppo non è andata, ora mi impegnerò per cercare altro, sono disoccupata ma ottimista». L’ostacolo più grande? I pregiudizi: «Lavorare in locali notturni per una trans è facile ma io vorrei lavorare di giorno. Sono disposta a fare qualsiasi cosa, basta che sia un lavoro onesto». L’onestà, sostiene qualcuno, sul lungo termine paga. E tutti noi ci auguriamo che le parole di papà Gino si avverino, ci auguriamo anche noi che per Michelle possa arrivare finalmente la felicità. Se la merita tutta.

 

Dall'edizione di Gardaweek del 3 marzo


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