Inverno di Sangue: nella Bassa bresciana ci fu una delle ultime fucilazioni
Nel 46 furono condannati a morte gli assassini dell'agricoltore Felice Platto e della figlia: la vicenda di Castrezzato segna una delle ultime esecuzioni per un crimine comune nell'Italia post-bellica

La sera del 16 dicembre 1945 quattro sconosciuti mascherati e armati irrompono nella cascina dell’agricoltore castrezzatese Felice Platto, per farsi consegnare 220mila lire, il ricavato della vendita del bestiame. Quella che doveva essere una rapina si è trasformata in un bagno di sangue, segnando una delle ultime condanne a morte in Italia per un crimine comune.
Inverno di Sangue: nella Bassa bresciana ci fu una delle ultime fucilazioni
Una notte di gelo avvolge la pianura, la nebbia, densa e umida, offusca i contorni incerti di Castrezzato: un paese che da otto mesi respira la libertà dopo la parentesi oscura del fascismo e del secondo conflitto mondiale. La Liberazione di Milano, avvenuta il 25 aprile grazie all'insurrezione generale proclamata dal Comitato di Liberazione Nazionale, aveva segnato la ritirata delle forze tedesche e il risorgere della democrazia dopo anni di oppressione. Mentre la commissione di giustizia bresciana incomincia la sua opera di epurazione arrestando fascisti in città e provincia, un'altra piaga serpeggia tra i cittadini, soprattutto nei borghi più piccoli: la criminalità comune. Il «banditismo». Furti e aggressioni, figliastri del caos post-bellico. Si trattava perlopiù di delinquenti che approfittavano dell’anarchia per irrompere nelle case. Consumare piccole vendette. Mossi da rancori personali: spesso questi atti finivano nel sangue come nel drammatico caso di Castrezzato
Secondo le minuziose cronache dell’epoca, un gruppo di uomini armati irrompe nella solitaria cascina «Tacco» dell'agricoltore Platto, situata in aperta campagna sulla strada per Castelcovati. Cercano denaro: presumibilmente il ricavato della vendita di bestiame. Ma la situazione degenera rapidamente. Durante una colluttazione il proprietario avrebbe riconosciuto uno degli aggressori. Nell’aria esplodono alcuni colpi di pistola: a terra cadono il giovane Felice e la sorella Francesca poco più che ventenni. Inoltre, viene ferito un vicino accorso in loro aiuto. I banditi si danno alla fuga e svaniscono nel buio.
Fu un terribile shock. La notizia si diffonde rapidamente. L'eco dell'efferato crimine accende la richiesta popolare di una «giustizia esemplare» che per l’epoca è la condanna a morte che il regime ha reintrodotto nel 1926. La comunità locale, scossa dalla guerra, si aspetta una risposta ferma dalle istituzioni in una fase di ricostruzione post-dittatura. Avvolto nel mistero, il caso sembra destinato a rimanere irrisolto. Solo dopo oltre un mese di indagini si arriva all'identificazione degli assassini. Sono tre giovani di 23, 24 e 33 anni più un presunto complice che, secondo la stampa, sono arrestati dalla polizia mentre partecipano al funerale delle vittime.
Per giudicarli è convocato il Tribunale Militare straordinario che si riunisce a Chiari. Una folla infreddolita, avvolta in pesanti mantelli, si accalca fuori dall’aula. Le voci tremanti degli imputati, le appassionate arringhe dei difensori e le deposizioni strazianti dei testimoni creano un'atmosfera densa di tensione. Il dibattimento è seguito con attenzione morbosa dalla stampa locale che non tralascia alcun dettaglio compreso un sopralluogo sulla scena del crimine. Si descrivono momenti di isteria collettiva («vivacissime discussioni»): anticipazione inquietante del voyeurismo mediatico che caratterizza oggi, spesso, la cronaca nera. Da quanto emerge dal processo, la banda avrebbe scoperto della somma da incassare all’osteria dove sarebbe germogliato il piano criminale.
Il processo
Fu processo lampo. Il 31 gennaio 1946, a soli quattro mesi dal referendum che segna la nascita della Repubblica e dopo quaranta minuti di camera di consiglio, giunge la sentenza. Il verdetto è inappellabile: due degli imputati sono condannati alla pena capitale mediante fucilazione alla schiena. Per il terzo uomo la sentenza è di trent'anni di reclusione mentre il quarto imputato è assolto per insufficienza di prove. A quanto pare un boato di applausi si levò dall'aula gremita alla lettura della sentenza. Ogni speranza di clemenza svanisce rapidamente: nel pomeriggio i condannati sono trasferiti nelle carceri di Brescia per passare sotto le armi.
La vicenda di Castrezzato segna una delle ultime esecuzioni per un crimine comune nell'Italia post-bellica. Simbolo di un'insicurezza diffusa e del bisogno di ordine. Eppure ci aiuta a riflettere sulla potenza della «folla»: quella rabbia di popolo che invoca giustizia sommaria sugli assassini. L'ultima, più truce, si consumò nel torinese il 4 marzo 1947 con la fucilazione di tre giovani responsabili di una strage durante una rapina. La pena di morte per i reati comuni sarebbe stata abolita con l'entrata in vigore della Costituzione nel 1948 mentre la sua definitiva cancellazione anche dal codice militare di guerra si sarebbe concretizzata solo nel 2007.