dall'ucraina a ospitaletto

In fuga da Odessa: il viaggio della speranza di Oxana e dei suoi figli

Il racconto fra le lacrime della donna: «Ci abbiamo pensato per due giorni, poi ci hanno svegliato le bombe. Mio marito è rimasto, lui non può scappare»

In fuga da Odessa: il viaggio della speranza di Oxana e dei suoi figli
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di Emma Crescenti

L’italiano lo mastica dal 2014, imparato a poco a poco solo con un dizionario e tanta voglia di studiare. Sognava il Belpaese Oxana, da quando un giorno ha ascoltato «Pazzo di lei» di Biagio Antonacci. «Mi sono subito innamorata di questa lingua, volevo conoscere il significato e venire in Italia, a cui non so perché ho sempre sentito di appartenere», ci spiega. Qui, a Ospitaletto per la precisione, alla fine ci è arrivata. Non come turista, però, ma come profuga scappando da una guerra che sta devastando tutta l’Ucraina.

Da Odessa a Ospitaletto in fuga dalla guerra

Una valigia a testa, qualche vestito, solo un paio di scarpe di scorta. Non ha potuto prendere altro Oxana: dal 7 marzo, assieme ai figli Maksym e Sofia, di 14 e 10 anni, è ospite della cognata che vive in Italia da più di 20 anni. Il marito è rimasto a Odessa, gli uomini dai 18 ai 60 anni non possono scappare. «Io lavoro come estetista, le mie clienti volevano che restassi, ma mia cognata mi ha pregato di partire, di andare via da lì - racconta - Mio marito inizialmente mi ha detto di fare quello che sentivo: ci ho pensato due giorni, poi una mattina alle cinque ci ha svegliato il rumore delle bombe. E’ stata una scelta difficile, davvero difficile: anche perché lui, come la nostra vita, è rimasto là...».

Si ferma, Oxana. Non serve la retorica, per capire il dolore bastano le lacrime. Crolla per un minuto, ha il diritto di farlo, poi si asciuga il viso e continua. «Lo sentiamo ogni giorno, in città per ora è tutto tranquillo, sta bene ma dice che continuano a sentirsi spari, sirene ed esplosioni anche se nessuno capisce dove siano localizzate». Le forze armate ucraine nei giorni scorsi hanno riportato dei colpi di artiglieria sparati dal mare verso la città: «dicono anche che sulla spiaggia hanno sotterrato delle mine per fermare una possibile invasione», aggiunge la donna. Ma cosa sia vero e cosa no spessp fa fatica a capirlo anche chi si trova nel cuore del conflitto. Si vive giorno per giorno, con il fiato sospeso. Il marito a Odessa, dove si alterna lavorando come corriere e portando aiuti all’esercito ucraino. Il resto della famiglia nel bresciano, condividendo la stessa paura.

Il viaggio verso Brescia e l’accoglienza

Prendere l’aereo non era un’opzione. Così Oxana e i figli si sono messi in macchina verso Palanca, al confine con la Moldavia: un’ora e mezzo di strada, altre 4 in coda ai posti di blocco, una colonna di mezzi lunga un chilometro. «I soldati fermavano le auto una per una. Ci hanno controllato e ci hanno chiesto dove stavamo andando: ho detto che stavamo andando via, lontano dalle bombe, loro ci hanno augurato buon viaggio». Poi ancora attesa, addolcita dal supporto dei volontari ucraini che distribuivano cibo e conforto, prima di continuare l’esodo. «Un’amica che abita a Chisinau ha mandato suo fratello a prenderci - la storia prosegue - Con noi è salita anche una donna anziana, una volta arrivate l’abbiamo lasciata alla stazione, ha preso un autobus per la Germania, dove abita la figlia. Noi siamo rimasti un paio di giorni dalla mia amica, abbiamo approfittato per andare a trovare anche mia suocera che appena ci ha visti è scoppiata a piangere. Poi abbiamo preso un autobus e il 7 marzo siamo arrivati a Brescia, ospitati da mia cognata e dalla sua famiglia».

La comunità li ha accolti a braccia aperte. Dalla Caritas, che ha subito provveduto a raccogliere vestiti, alimenti, quaderni, materiale per lo studio e beni di prima necessità, ai volontari che li hanno accompagnati a Brescia per l’assistenza sanitaria e per avviare l’iter burocratico in Questura, fino agli insegnanti e gli studenti del Comprensivo, dove i figli di Oxana nei giorni scorsi hanno iniziato le lezioni con il caloroso benvenuto dei loro coetanei. «Sofia si è già integrata bene, dice “ciao, ciao” a tutti e ha ricevuto un sacco di disegni per il suo arrivo», sulle labbra nasce un sorriso. Per Maksym, che venerdì ha festeggiato il suo 14esimo compleanno lontano da casa, lontano dal suo papà, se il calore dei nuovi compagni di scuola non dovesse bastare c’è anche quello della squadra dell’A.C. Ospitaletto, che ha aperto i cancelli dello stadio, gli ha pagato scarpe, divisa e tesseramento. «Grazie, davvero grazie a tutti quanti: ci stanno facendo sentire come se fossimo a casa», è la riconoscenza di Oxana che dopo i giorni di assestamento non nasconde la voglia di cercare qualcosa da fare, un piccolo impiego da estetista per occupare il tempo, rendersi utile e guadagnare qualcosa, migliorando quell’italiano che ha imparato ascoltando canzoni e leggendo i quotidiani nazionali a tempo perso.

«Fermate questa guerra»

Oxana e i suoi figli ora sono al sicuro, nei giorni scorsi per esorcizzare la tensione si sono goduti una gita sul lago d’Iseo. Dall’altra parte dello specchio però c’è una realtà fatta di incertezza, di scoppi sempre più vicini, di supermercati quasi vuoti «perché non appena riforniscono gli scaffali con lo scatolame o le materie prime, quelle più richieste, subito vanno a ruba». Di devastazione e paura di diventare una nuova Mariupol. «Mio marito ci dice di rimanere forti, che andrà tutto bene, io però ho paura. Abbiamo anche un altro figlio più grande, di 23 anni, che per ora lavora su una nave fuori dal paese: il contratto di sei mesi scade a giugno, ma gli ho detto di venire qui con la sua fidanzata. Non può tornare a casa, non deve, se no non può più scappare».

Di rabbia e sfiducia non solo per i russi, gli invasori, ma anche verso la politica e il Governo che, secondo Oxana, non ha fatto nulla per evitare questa guerra che affonda le sue radici nel conflitto del Donbass. Di condanna verso una guerra di cui, alla fine, «pagherà solo la popolazione».

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