Enrica salvò 41 bambini, ora è tra i «Giusti»
«Una donna dalla grande grinta, dalla profonda spiritualità, carismatica, capace di entusiasmare le persone ad un progetto, mossa da una continua sete e curiosità di sapere», così don Roberto ricorda la sorella Enrica Lombardi scomparsa due anni fa a 83 anni dopo una vita spesa per il prossimo, dopo che divenne testimonianza concreta e reale di fede e operosità. Qualità ricordate anche nella targa che da sabato la rende tra i protagonisti del «Giardino dei Giusti» sorto nel parco della Pieve di San Pancrazio a Montichiari.
Primogenita di una modesta famiglia Enrica si spese fortemente per la promozione della donna, prima dando vita al centro confezioni «Henriette» dove hanno lavorato fino a 350 operaie della zona, poi, convinta che la ricchezza vada distribuita, investendo quanto guadagnava in Burundi e poi in Rwanda. Ma la più grande iniziativa umanitaria che la vide protagonista come presidente e fondatrice dell’associazione Museke, ora fondazione, è l’aver donato la salvezza a 41 bambini ospiti nel centro rwandese salvandoli da uno dei più grandi genocidi della storia che nel 1994 stavano sconvolgendo il Rwanda. Il generoso impegno ebbe risalto a livello nazionale, tanto da ricevere nel 2006 a Castenedolo il plauso di Oscar Luigi Scalfaro, capo dello Stato quando 12 anni prima i bimbi erano giunti in Italia, che nel 2005 le valse il «Premio Amico Cuore» e il «Premio Città di Brescia-Laura Bianchini». Per lei che, nata nel ‘33, frequentò le elementari «sotto le bombe» l’esistenza non poteva che essere un turbinio di eventi in cui seppe sempre distinguersi.
A partire dagli anni ‘60 quando iniziò a girare la provincia a bordo del suo motorino insegnando i precetti del taglio e cucito alle donne. Poi l’esperienza in un’azienda di Brescia e da lì la volontà di diventare imprenditrice. «L’Henriette, nel ‘61, nacque dal nulla - ha spiegato don Roberto - nostro padre era un semplice operaio. Ma Enrica con il suo gran gusto per l’estetica, la sua capacità nel selezionare i tessuti, l’ideazione delle “taglie forti” seppe cambiare la storia di Castenedolo» e non solo. L’Henriette era molto più di una fabbrica, era un’esperienza di giustizia anche per le operaie che profumava di rispetto e serenità, dalla produzione innovativa, modello di efficienza invidiato, ma con prodotti per ogni gusto, tasca e taglia. Da questo successo Enrica trovò la forza, anche economica, per portare i precetti di emancipazione femminile anche in Africa, nel Natale del 1966 il suo primo viaggio in Burundi, a Gitega la prima stanza in cui inizia a insegnare alle donne del posto il taglio e il cucito. E furono proprio le lavoratrici dell’Henriette a sostenere questo progetto, accogliendo le donne africane nel ‘67 e poi, nel ‘69, raggiungendole loro stesse per perfezionare il mestiere. In questi anni Mariateresa Busco, che lavorò per la famiglia per oltre 35 anni, ebbe modo di apprezzarla nei brevi momenti trascorsi a casa: «Una persona unica - ha spiegato - dove c’era bisogno di conforto lei era disponibile.
E’ come una seconda famiglia, in certi momenti è stata la prima, tutti mi hanno dato tantissimo e ho cercato di contraccambiare al meglio». «La sua grinta era frutto di una grande spiritualità - ha osservato don Roberto - non qualcosa dato dagli atti di religiosità, ma l’incarnazione stessa della vita concreta di ogni giorno, dello spirito che ti dà coraggio, della fede che l’ha sempre sorretta». Vicino al piccolo laboratorio anche una casa accoglienza che divenne punto di riferimento per l’intero Burundi. Poi, sempre grazie all’Associazione vennero allestiti il centro nutrizionale per la prevenzione delle malattie, un piccolo pronto soccorso, un reparto maternità e una scuola superiore. «Abbiamo assistito all’evoluzione del Paese con tutte le sue contraddizioni - ha spiegato commosso il fratello - compresa la guerra civile del ‘72, lo scontro etnico del ‘93, manifestatosi l’anno successivo nel vicino Rwanda.
A fine ‘85 tutti i missionari europei furono cacciati dal Burundi, rimasta solo Museke, punto di riferimento sanitario, educativo e sociale». Proprio in quell’anno iniziò la collaborazione con le suore rwandesi e con lo stesso Vescovo e, grazie a sussidi europei, riuscirono in un grande progetto. Vicino al monastero della suore Clarisse aprirono nell’88 un centro accoglienza orfani con spazi adibiti per i disabili, un atelier per la costruzione degli ausili, stanze per il personale medico e volontario e un ospedale attrezzato, vero fiore all’occhiello della struttura. Nel ‘94 la guerra civile portò in tre mesi allo sterminio di un milione di abitanti. «Siamo riusciti a contenere questi folli - ha spiegato il don rivivendo con angoscia quei momenti - chiedendoci come fosse possibile che l’uomo capace di gesti sublimi sia al contempo capace di questi abissi di violenza». Da lì la decisione di mettere in salvo i 41 orfani e i 33 adolescenti operati ospitati nella struttura, oltre a tutto il personale. Fu necessario un delicato lavoro diplomatico per organizzare i voli. Kigari, Nairobi, Ciampino e poi, grazie al supporto dei passeggeri che si fecero carico di trasportare gli orfani tra le loro braccia.
E’ stata poi l’intera comunità castenedolese a farsene carico mentre erano ospitati nell’ex asilo Pisa, la solidarietà dimostrata fu tale che «a un certo punto abbiamo dovuto dire stop». Dopo proseguirono con gli affidi e le adozioni, 17 di quei 41 bambini furono adottati da famiglie castenedolesi, proprio come Cesare, ora 26enne, allevato da don Roberto. Ma l’operato di Enrica, prosegue oltre la sua scomparsa, la sua eredità morale e i suoi precetti sono portati avanti dai tanti che ha incontrato lungo il suo cammino, in primis dalla stessa Museke, affinché come dice la parola stessa nella lingua locale del Burundi ogni giorno sia un nuovo inizio. «La Fondazione è attualmente impegnata in progetti in ambito socio-sanitario e della formazione - ha spiegato il segretario generale Chiara Novaglio - in particolare in Burundi. Nel bresciano ha recentemente avviato un progetto di accoglienza richiedenti asilo e un altro di supporto ai percorsi di inclusione di minori stranieri non accompagnati. Ho avuto il piacere di lavorare fianco a fianco con Enrica per quattro anni, durante i quali ho avuto modo di apprezzare la sua sensibilità e dedizione per il prossimo.
In qualità di presidente ha dato grande impulso all’attività della fondazione, proponendo progetti e aderendo con entusiasmo alle iniziative che rispecchiavano la nostra mission. La sua testimonianza concreta è ancor oggi esempio per tutti noi collaboratori».