Discriminazioni continue sul lavoro "perché donna", scatta la denuncia
Dopo quasi due anni la donna ha fatto sentire la sua voce
«Discriminazioni continue sul lavoro, dove sono l’unica donna: è ora che faccia valere i miei diritti».
Sono parole rotte dal pianto della disperazione quelle di Carmela Gigante, 49 anni, residente nella Bassa e che lavora in un’azienda di Borgo San Giacomo da quattro.
Discriminazioni sul lavoro, scatta la denuncia
Si è trasferita da Torino per poter continuare a lavorare, lontano dalla famiglia, dagli amici e dalla città nella quale è nata e cresciuta.
Tutto per non perdere il posto fisso in un’azienda nella quale lavorava da tempo, un indeterminato che in questi anni si fa fatica ad ottenere.
«Lavoravo per un’azienda a Torino che però è fallita, ricomprata poi all’asta da un imprenditore bresciano - ha spiegato l’operaia 49enne - Come clausola doveva di tenere gli operai. Quando ha deciso di chiudere la sede di Torino e trasferirsi qui, nella Bassa, siamo stati in due a seguirlo: io e un altro dipendente. Non perdere il lavoro era troppo importante. Mi do da fare da quando avevo 14 anni, ho sempre fatto l’operaia e non me la sentivo di lasciare».
Da Torino alla Bassa, con tutti i problemi
Dalla città piemontese alla campagna, quindi, nella Bassa bresciana. Dopo poco tempo però, sono iniziati i problemi.
«Poco prima delle chiusure per il virus il mio datore di lavoro ha chiesto solamente a me, unica operaia donna dell’azienda, di smaltire ferie e permessi - ha proseguito Carmela - Un atteggiamento strano. Ha fatto anche delle promesse che non ha mantenuto. Con l’iniziare della pandemia, poi, il 15 marzo, sono stata l’unica a essere messa in cassa integrazione. Per tutto questo periodo ho lavorato pochi giorni al mese, ho tutte le buste paga a dimostrazione. Dovevo chiedere notizie tramite messaggio, oppure tramite chat mi veniva comunicato da un’altra persona, che non era il datore, su whatsapp, quando dovevo presentarmi al lavoro. Ho lavorato più o meno 10 giorni al mese, non sempre consecutivi. Ma non solo, sono stata più volte oggetto di mortificazioni, prese in giro continue anche da parte dei colleghi. Mi sono dovuta sempre cambiare in uno spogliatoio con soli uomini, nonostante le rimostranze. Tutta questa situazione con l’andare del tempo mi ha fatto stare male».
Malessere fisico e psicologico
E’ stato chiesto un confronto, più di una volta, ma le cose non sono migliorate nemmeno dopo aver parlato chiaramente al datore di lavoro.
«I confronti verbali non sono andati bene, mi è stato detto che quella che doveva fare la cassa integrazione ero io - ha proseguito la Gigante - Così mi sono iscritta al sindacato e poi mi sono messa in malattia. Sono rientrata a marzo per un giorno, ma sono stata messa a fare una mansione che non era la mia, dove ho fatto degli sforzi fisici per i quali sono andata poi in Pronto soccorso. Esasperata ho di nuovo contattato il mio medico di base e quello del lavoro, raccontando loro il disagio che stavo vivendo. Sarò sincera: non sto bene da diversi mesi ormai e non parlo del fisico. Ho l’ansia, piango in continuazione, sono depressa e molto nervosa, da molto tempo la notte non dormo. La dottoressa che mi ha visitato per il lavoro mi ha preso appuntamento con uno psichiatra per avviare un percorso di sostegno. So che da quando mi sono messa “in mutua” per me non è stata più richiesta la cassa e c’è un’altra persona che svolge le mie mansioni. Ho chiesto più volte anche al datore di lavoro di trovare un accordo per potermene andare, ma non c’è stato nulla di fatto, credo che aspetti che mi licenzi io».
Una situazione molto difficile che l'ha portata a denunciare ai sindacati.
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