Dalla Bassa un progetto per salvare le api del Perù e la vita della foresta amazzonica
L’esperienza di Riccardo Sudati, apicoltore professionista tra le piantagioni di caffè

Dalla Bassa un progetto per salvare le api del Perù e la vita della foresta amazzonica.
Un progetto per salvare le api che arriva dalla Bassa
Il passato da cooperante internazionale e l’impegno come apicoltore professionista si intrecciano nella vita di Riccardo Sudati impegnato con api e arnie anche al di là dell’oceano.
Sudati, 58 anni proprietario dell’azienda agricola «Torretta del Dosso» a Gottolengo è infatti uno dei protagonisti di un importante progetto che unisce la cooperazione con la salvaguardia dell’ambiente che passa dalla vita delle api nelle foreste e nelle piantagioni di caffè del Perù. Un impegno che si affianca a quello portato avanti ogni giorno tra le sue arnie nella Bassa e in Valvestino per difendere le api e far comprendere il loro mondo e la loro importanza per la vita sulla terra.
Come nasce il legame con il Perù?
«Sono stato volontario e cooperante internazionale con due Ong in Perù per ben dieci anni. In questo periodo ho avuto modo di conoscere e ho allacciato rapporti con le cooperative di produttori di caffè che si trovano sono nella foresta amazzonica. Lo scorso anno sono tornato in quelle zone per un viaggio e da lì è partita l’idea per un progetto condiviso che mettesse a disposizione le mie competenze e quelle di Apilombardia di cui sono consigliere per supportare le coltivazioni».
Che difficoltà ci sono tra le piantagioni di caffè?
«La situazione in quelle zone non è semplice ed è un insieme di due fattori: un po’ per il cambiamento climatico un po’ per le coltivazioni intensive si stanno riscontrando molti cambiamenti tra cui dove vivono le api e da questo le difficoltà di impollinazione dei fiori delle piante di caffè. Per aiutare queste cooperative di produttori con la Ong Terra Nuova abbiamo quindi dato il via ad un progetto che avrà l’obiettivo di inserire gli alveari nelle piantagioni di caffè e avviare la produzione di miele come alternativa economica per le famiglie. Le api sono tra i principali impollinatori del caffè quindi l’assenza di api rende difficile la coltivazione e si prevede un calo della produzione proprio perché non ci sono impollinatori. Si è verificato che la presenza degli alveari nella produzione di caffè aumenterebbe la produzione del 17 per cento e al contrario la loro assenza sommata ad altri fattori porterebbe ad un calo di circa il 40 per cento rispetto a quello che potrebbe fare. Per questo le cooperative che esportano il caffè con il fair trade stanno cercando un alternativa agli impollinatori».
Come viene considerato il miele in Perù?
«In Perù il miele non viene utilizzato come alimento vero e proprio ma come supporto in caso di malattia, come rafforzante anche perché in quelle zone la fa da padrona la canna da zucchero. Quindi possiamo dire che loro non lo considerano un vero e proprio alimento: i contadini in foresta che vedevano un alveare cercavano di ricavarne del miele ma senza nessuna conoscenza. Non è un alimento come lo è per noi, se non per qualche straniero che ha portato là la cultura del miele».
Un progetto dunque che parte dalla formazione e dalla ricerca, in che modo?
«L’importanza di questo progetto è proprio legato alla formazione e alla conoscenza del territorio. Con l’appoggio di Apilombardia, con il supporto dei tecnici via internet stiamo facendo dei corsi di formazione e a febbraio tornerò là per fare corsi pratici da trasmettere ai tecnici locali. Le cooperative hanno già più di 300 apicoltori in erba che stiamo formando con queste iniziative. I nostri tecnici ci aiuteranno anche a coinvolgere due Università del Perù nel progetto per fare ricerca, per capire come fare con arnie e api in una zona del mondo dove ci sono solo due stagioni, diversamente che da noi, quella delle piogge e quella secca, capire quando fioriscono acacia e eucalipto che sono le due principali essenze che crescono là. Questo è fondamentale perché altrimenti rischiamo di trasferire un sapere e tecnologie che poi non possono essere utilizzate perché non si adattano alla realtà del Perù che è completamente diversa dalla nostra. Solo con la ricerca unita alla nostra esperienza che cerchiamo di trasmettere ai locali possiamo riuscire a far durare questo progetto: noi abbiamo una fortissima esperienza ma dobbiamo adattarla attraverso la ricerca alle condizioni ambientali dell’Amazzonia e delle persone perché non è lo stesso vivere qui dove ci si può spostare tranquillamente utilizzando anche dei mezzi che vivere nella foresta e spostarsi con un asino».
Chi sono i protagonisti di questo progetto sul posto?
«Si tratta in genere di situazioni familiari, chi porta avanti il lavoro nella piantagione è in genere l’anziano della famiglia perché i giovani sono in città per lavoro, tornano solo se ci sono opportunità anche per loro. In genere i cooperanti sono famiglie e la maggior parte sono donne mentre gli apicoltori che noi stiamo formando sono generalmente uomini medio giovani».
Ma che sapore ha il miele del Perù?
«Il miele prodotto nella foresta ha un sapore diverso sia nei pregi che nei difetti per quello che abbiamo potuto assaggiare dalle prime produzioni. Per questo faremo presto anche un corso per assaggiatori di miele anche là, per cercare di spiegare quali aspetti cogliere con l’assaggio e riuscire a apprezzarne le diverse sfumature».
Cambiamento climatico e coltivazioni intensive stanno mettendo a dura prova la produzione locale di caffè dovuta in primis alla mancanza degli impollinatori, le api. Per questo è nato il progetto che prevede di portare esperienza e formazione alle cooperative che si occupano del mercato fair trade