Coronavirus, un Bresciano a Liverpool: «Dovevo fingermi tedesco»
E' la testmonianza di Luca, un bresciano a Liverpool per studio e lavoro che ci ha raccontato dell'emergenza vista dall'Inghilterra

Un Bresciano a Liverpool: «Dovevo fingermi tedesco». E' la testmonianza di Luca, un bresciano a Liverpool per studio e lavoro che ci ha raccontato dell'emergenza vista dall'Inghilterra.
A che punto è l’emergenza in Inghilterra?
«La situazione qui devo dire la verità non è cosi tragica, ma lo sta diventando. Secondo noi, gli inglesi non hanno ancora capito la gravità della situazione. Purtroppo, in assenza di linee guida certe, tutto è nelle mani delle coscienze personali di chi in questi giorni è arrivato qui dall'Italia. Nel senso che alla frontiera non c'è nessun tipo di controllo. Una ragazza è arrivata lunedì dalla Sicilia».
Chi arriva in Inghilterra cosa deve fare?
«Chi viene dalla zona rossa deve auto isolarsi per 14 giorni e chiamare il 111 che è il numero dell'emergenza. Non c'è controllo, né c'è preoccupazione a livello politico. Si continua a ripetere che la probabilità di diffusione del virus in Inghilterra è alta, ma fino a poco fa si era nella fase - da loro chiamata - di contenimento anche se i numeri non sono positivi».
Di che numeri parliamo?
«Qui siamo sui 50 nuovi casi al giorno. Qui nel Merseyside, nella provincia di Liverpool sono stati riscontrati 4 casi, tutti collegati ad un inglese che era stato nel nord Italia qualche settimana fa».
Quindi lì non c'è nessuna emergenza?
«Non come in Italia. I supermercati hanno iniziato a dilazionare le scorte, ho fatto la spesa poco fa ed è possibile prendere un numero definito di elementi, pasta, polenta, olio, se ne possono prendere in quantità minima. Massimo due scatole di pasta. La stretta è arrivata nei supermercati ma non c'è allarmismo, soprattutto non c'è informazione adeguata all'emergenza legata a questo virus. Non si rendono conto. Per noi invece è già chiaro perché famiglia e amici ci aggiornano giorno per giorno sulla situazione italiana».
Quali consigli dal governo o da università e lavoro?
«Le prescrizioni sono di rimanere calmi, ci hanno assicurato che nel caso di necessità, l’università ha già previsto un piano ben strutturato per l’emergenza. Oltre a queste rassicurazioni, ci hanno dato le norme igieniche necessarie, come lavarsi mani ma qui non è stata data la raccomandazione legata alla distanza. Dal posto di lavoro, per ora nessuna indicazione precisa. La situazione odierna non prevede nessuna restrizione. Continuo il mio lavoro normalmente, la paura sicuramente c’è».
Com’è la situazione per gli italiani in Inghilterra?
«Si evita di uscire la sera perché c'è sempre un po' di timore. Ho visto e in alcuni casi anche subìto piccoli episodi di razzismo ma niente oltre all'insulto. Ho limitato quindi le mie uscite serali, meno parlo della gente del posto meglio è perché la mia pronuncia mi tradirebbe. Se dici che sei spagnolo reagiscono in un modo, se parli di Italia del nord invece la reazione è diversa. C'è comunque da sottolineare che la zona è razzista indipendentemente dall'emergenza Coronavirus. Per questo mi sento più sicuro a frequentare il Campus, che è per sua natura un luogo sicuro e multiculturale, ma sempre durante la giornata».
Per tua tutela in pubblico fingevi di essere tedesco, funziona ancora dopo la scoperta dei casi in Germania?
«Dire ancora che si è tedeschi funziona, per loro evidentemente è ancora sinonimo di garanzia, nella loro visione idilliaca la Germania è un porto sicuro, nonostante i casi in aumento».
Cosa vuoi dire ai tuoi connazionali?
«Ai miei connazionali mi sento di dire che chiunque provenga dalle zone rosse, appena atterrato qui si vada ad isolare e chiami il 111 per far sapere al governo inglese che un italiano è arrivato dalle zone rosse. Mi sento di ripeterlo anche io, state a casa, lasciate perdere gli aperitivi e la movida bresciana, dal punto di vista economico è un grosso colpo, ma solo stando a casa si può limitare questa diffusione. Meglio alcune settimane di blocco, che mesi e mesi di calvario. Qui siamo tutti preoccupati, arriviamo da tutte le regioni di Italia, nessuno di noi ci tornerà per le vacanze di Pasqua, ma la cosa più difficile per tutti è la preoccupazione per le nostre famiglie, quella purtroppo non si può fermare».