Chiude il negozio, dopo 50 anni a causa della crisi

Chiude il negozio, dopo 50 anni a causa della crisi
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Questa volta tocca al negozio storico di Giovanni Bertini, che da più di cinquant’anni vende biciclette in via Guerzoni a Borgosotto, soccombere alla crisi. Un periodo veramente nefasto quello degli ultimi anni per la nostra città che vede attività di famiglia, passate da padre in figlio e emblema della laboriosità monteclarense, doversi piegare all’impossibilità di reggere il passo con i centri commerciali e la pesante la tassazione. Una situazione comune in tutta Italia ma che in una città come la nostra, dove tutti si conoscono, rattrista ancora di più perché ogni negozio storico che chiude è un pezzo di storia locale che si perde. 

«Questa attività è stata aperta da mio padre Ernesto nel lontano 1970» ci racconta Giovanni «aveva iniziato a lavorare praticamente da bambino, intorno ai nove anni, come spesso accadeva a quei tempi, per Stefanetti, un meccanico di biciclette che si trovava in centro al paese. Allora la bici era l’unico mezzo che molte persone possedevano e conservavano con estrema cura. La bottega, perché così si chiamavano allora i negozi artigiani, dove mio padre apprese il mestiere era aperta anche di domenica mattina: c’era infatti l’abitudine per i contadini, che arrivavano dalle frazioni per ascoltare la messa in Duomo, di lasciare il proprio mezzo a gonfiare, risistemare o oliare mentre si svolgeva la funzione e poi riprenderlo a messa finita per tornare nelle proprie cascine. Era appunto un bene importantissimo che addirittura molti custodivano in camera da letto per il timore che venisse sottratto. In seguito mio padre ha lavorato con suo fratello, il famoso Gek Motor, sempre in centro al paese e poi si è trasferito qui in Borgosotto, affrontando con coraggio tutti i rischi di una attività in proprio. Fu già difficile allora, quando i tempi non erano ancora così economicamente complicati, tanto è vero che mio padre ha sempre fatto due lavori: era operaio presso la ATB, Acciaieria Tubifici Brescia, e appena aveva un minuto libero correva in negozio dove nel frattempo stava mia mamma. Io all’inizio di questo lavoro non volevo saperne.

Come tutti i figli, desideravo trovare la mia strada e, dopo le scuole medie, per diverso tempo, ho fatto l’apprendista, svolgendo diverse attività, poi a 22 anni mi sono deciso e ho preso in mano il negozio di famiglia: in fondo ero il figlio maschio e le mie tre sorelle erano propense a fare altro. Sono stati anni intensi, di grande trasformazione. Gli ultimi un vero disastro: la concorrenza dei centri commerciali e degli acquisti online è spietata con prezzi che il piccolo commerciante non può di certo proporre. Si lavora dieci ore al giorno per non portare a casa nemmeno uno stipendio fisso. Si dovrebbero guadagnare 3000 euro al mese per pagare tutte le spese e le tasse: è impossibile. Ho 53 anni, le mie alternative non sono molte e quando mi è stato proposto un impiego come artigiano, ho deciso di accettare e di chiudere l’attività. Temevo la reazione di mio padre e invece l’ha presa meglio di me e mi ha lasciato carta bianca. Capisce che non ci sono alternative anche se è come sotterrare un pezzo di cuore, buona parte della nostra storia personale. Ne abbiamo passate tante dietro questo bancone, conosciuto gente di tutti i tipi, osservato le mode che cambiavano, perché anche la bici sta al passo con i tempi e con i look, preso parte ad imprese memorabili durante le quali abbiamo potuto mettere alla prova anche le nostre abilità di costruttori, come quando abbiamo allestito e architettato il tandem che sarebbe servito per far girare lo spiedo ecologico più lungo del mondo di Borgosotto. Non fu impresa facile, perché accorreva calcolare in modo esatto i rapporti che dovevano essere calibrati a misura sul movimento degli spiedi che vanno molto più lenti di un passo di una bici.

Osservarlo in movimento fu una bella soddisfazione, una grande emozione conoscere di persona il grande campione Cipollini e vederlo pedalare sul mio tandem. La cosa che, però, mi mancherà più di tutte sarà il rapporto umano con la clientela e le chiacchiere scambiate con tutti coloro che, in questi lunghi anni sono entrati in negozio: qualcosa che nessun supermercato o sito internet sa dare. Ieri è accaduta una cosa strana: un motorino del negozio si accendeva continuamente da solo. Lo spegnevo e, incredibilmente, si riaccendeva. Così, senza motivo. Non ho capito perché accadesse. Mi è parso quasi un segno, come se il negozio volesse dirmi qualcosa, come se il suo cuore si rifiutasse di smettere di battere. Forse sono solo l’ultimo dei romantici ma i nostri negozi avevano un’anima che, anche se vinta, non smetterà mai di accompagnare la nostra storia e non sarà dimenticata.» 


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