Cesare Broglia ha spento 97 candeline
Li ha ancora ben nitidi quei momenti di guerra: dalla chiamata alle armi datata 18 gennaio 1940, al lungo viaggio verso la Libia, prima in treno e poi in piroscafo da Napoli. «Fu durissima. Partimmo in 134 e tornammo in 70 ma le morti si susseguirono anche in seguito al nostro ritorno a causa delle malattie che ci eravamo portati dalla guerra. Ci fronteggiavamo con gli Inglesi così come potevamo con i pochi mezzi a disposizione ma tanto coraggio.»
«Io costruivo hangar per gli aerei che allora non facevano rifornimento in volo ed era un lavoro duro soprattutto quando soffiava il Ghibli, il vento che durava giorni su giorni, portando una nebbia fitta e sabbia che si ficcava in ogni dove. E insieme al Ghibli arrivavano le bombe che cadevano dal cielo come stelle filanti. Si viveva tra paura e angoscia. Io mi rifugiavo dietro le ruote dei camion. Anche le condizioni igieniche erano scarse: l’acqua poca, la possibilità di lavarci ancora meno. Prolificavano i pidocchi e dovevamo rasarci a zero. Ne ho vista di gente morire ma l’episodio che mi ha segnato di più è stato l’abbattimento dell’aereo di Italo Balbo. Mi trovavo proprio nei paraggi e l’esplosione mi spostò di 70 metri. Fu una perdita enorme e che ci lasciò con la certezza che la guerra non risparmiasse proprio nessuno. Sono sopravvisuto a 87 bombardamenti.»
A festeggiare il reduce, accanto all’amata nipote, c’è tutta la famiglia e il Maresciallo Alfonso Turchetti Presidente del «Club 124 Frecce Tricolori Ali per la vita» che più di qualsiasi altro tiene viva la memoria di questi eventi e degli uomini che vi sono stati protagonisti. M