I Bompieri, tre generazioni di custodi a Desenzano

Per quasi ottant’anni Bompieri è stato il cognome che ha fatto rima con «cimitero». Dal 1918 al 1995, infatti, la famiglia ha sempre offerto alla città il proprio servizio di custodia del luogo di riposo dei morti, in una e vera e propria tradizione tramandata di padre in figlio. «Il primo fu mio nonno Andrea - spiega Giuseppe Bompieri , finita la guerra intraprese questo mestiere nonostante la sua formazione gli permettesse di aspirare a qualcosa di più, avendo fatto l’ottava classe. Al tempo seppellire le salme era completamente diverso, i più venivano interrati, i loculi erano solo per i ricchi». Le differenze di classe si vedevano dunque anche dopo il tempo dedicato alla vita e anche il funerale aveva le sue peculiarità rispetto alla disponibilità economica: «I carri funebri sarebbero arrivati solo quarant’anni dopo - continua Giuseppe -, le bare venivano trainate da cavalli: quattro per i più ricchi, due per i più modesti. Per chi invece era ancora più povero i cavalli erano comunque due, ma su di essi e sulla carrozza non veniva apposta nessuna decorazione». Rispetto all’epoca il cimitero era tutto un altro mondo: «Oggi si può visitare il proprio caro defunto negli orari di apertura. Un tempo le bare non erano saldate con lo zinco, i luoghi di sepoltura erano ambienti potenzialmente insani e non si poteva accedere liberamente». Andrea Bompieri andò in pensione nel 1955, passando il testimone a Umberto, conosciuto ai più come «Giacumì». Nonostante il meritato pensionamento Andrea continuava tuttavia a frequentare il cimitero, per aiutare il figlio e perché affezionato a quel luogo dove aveva prestato servizio per molti anni. Una sera di dicembre del 1957 Andrea stava completando l’ultimo giro dell’area, per riaccendere gli ultimi lumini e controllare che tutto andasse per il meglio. Durante il passaggio sopra una grata Andrea non si accorse che era rimasta aperta, probabilmente per via delle intense attività funerarie di quei giorni. Cadde e morì per la caduta nei sotterranei del cimitero. Il suo fu l’ultimo funerale svolto a Desenzano con i carri, il 31 dicembre. Dal primo gennaio 1958 infatti venne introdotto il carro funebre motorizzato. Umberto lavorò dal 1955 al 1985: «A quei tempi il custode del cimitero aveva diverse mansioni -spiega Giuseppe -, a Desenzano venivano portate le salme di tutti i morti in incidenti stradali della zona, fin da Rezzato. Al tempo venivamo chiamati per far tutto, recuperavamo i corpi e li trasportavmo».
In quegli anni, a causa dell’aumento demografico, il cimitero fu allargato e dal 1968 Umberto ebbe bisogno dell’aiuto del figlio, Giuseppe. Essere custode del cimitero era un lavoro a tempo pieno: «Curavamo ogni aspetto dell’area, dai giardini alla pulizia delle lapidi. Essere custodi del cimitero all’epoca aveva anche un ruolo sociale: con i parenti dei defunti instauravamo un rapporto umano, ci fermavamo con loro a parlare, a volte a consolarli. Oggi è tutto più grande e organizzato, forse un po’ più dispersivo e inumano». Ai tempi le buche nel terreno venivano fatte ancora a mano, «circa quattro ore di lavoro per ogni morto» ci spiega Giuseppe. Rispetto al 1918 tante cose erano cambiate ma anche negli anni ‘70 alcuni aspetti sembrano ai nostri occhi inusuali: «Uno dei ricordi più forti che ho è quando andammo a recuperare il corpo della piccola Marzia Savio, uccisa nel 1982 dal suo rapitore. Eravamo noi gli incaricati di recuperare le salme, iniettare la formaldeide o ricomporre corpi deturpati da incidenti gravi. Era un lavoro con innumerevoli aspetti, oggi tra cooperative e agenzie esterne tutte le competenze son state divise». Nel 1995 Giuseppe andò in pensione.
Quell’anno venne introdotta la ruspa per interrare le bare e venne istituita una commissione cimiteriale per organizzare diversamente il lavoro (commissione al quale lo stesso Giuseppe partecipava per propria passione e volontà). Quella fu la fine di quella che si può definire Epoca Bompieri: «Oggi è tutto molto diverso, confesso che non riesco a tornare al cimitero, ma mi faccio raccontare. Là c’è una grande parte dei ricordi della mia famiglia e della mia vita. Ci tengo che tutto funzioni». La gestione è in mano ad una cooperativa e i figli di Giuseppe hanno intrapreso altre strade. Ma ciò che la città deve riconoscere ai Bompieri è senza ombra di dubbio il merito di aver portato avanti con impegno e devozione uno dei luoghi più importanti di Desenzano.
Da Gardaweek del 20 ottobre