Archimede Conti: «un grande campione buono»
La bicicletta era tutto per lui. Ed è stata con lui anche nell’ultimo momento di vita. Archimede Conti era alla soglia del primo grande passo, quello di passare dalle giovanili al dilettantismo, quando accadde la tragedia. Era il 1972,lui un bel 17enne, fresco del titolo di campione regionale allievi, uno degli alfieri della squadra con il compaesano Giuseppe Durosini, cadde in quel delle Bettole di Buffalora.
Se lo ricorda bene la sorella Giuliana «era andato dal signor Serena - ha raccontato - a far guardare le biciclette, su una piccola discesa di ritorno c’erano terriccio e pietre. Lui voleva arrivare a casa perché la mamma era in pensiero, gli è scoppiata la ruota davanti ed è caduto in terra». Per lui, l’ultimo di 5 fratelli, coccolato e accontentato da tutti non c’è stato nulla da fare. «Il suo sorriso e la felicità che aveva erano contagiosi - ha spiegato commossa la sorella che gli ha fatto da mamma - era buono, ma buono, ma buono. Quando tornavamo a casa dal lavoro ci abbracciava sempre. Quando andava a correre nei paesi vicini Visano era deserto, tutti, persino don Stefano Sega, lasciavano tutte le cose per correre a vederlo». Da allora per i genitori Giulia Agati e Fausto Conti la vita non è più stata la stessa «mia mamma per quattro anni non è uscita di casa, io e tutti i fratelli, Alberto, Carla e Marta eravamo sconvolti». Così nel ‘75 Giuliana si è sposata, e l’anno successivo ha chiamato il suo bambino con il nome di Archimede «i miei genitori si sono un po’ consolati perché potevano ancora chiamarlo con il nome del loro caro figlio».
La sua carriera è sbocciata a soli 12 anni, quando è entrato individualmente nel mondo del ciclismo, poi in 4-5 hanno creato la squadra del gruppo sportivo visanese, poi passato a Carpenedolo come «Supercarpen Visanese». Allenamento tutti i giorni per essere pronto per le corse della domenica e la mattina sveglia presto per lavorare in forneria. Con le sue brillanti vittorie il 30 luglio 1979 è stato campione lombardo a Sondrio, una vittoria largamente festeggiata a Visano «anche se lui era umile - ha raccontato la sorella - non voleva essere elogiato e non si dava importanza, per lui erano tutti amici leali e buoni e quando li sentiva bestemmiare di diceva “non farlo più che ti faccio vincer il traguardo volante”». Qualsiasi cosa vincesse ci teneva a dividerla con i compagni di squadra visanese, lo faceva con sincera passione.
«Dalla sua morte - ha spiegato Giuliana - i dirigenti sportivi hanno cominciato a intitolargli la gara che c’era già, come famiglia ne siamo stati contenti. I primi tempi quando vedavamo le bicilette piangevamo tutti. Ma adesso ho capito che Gesù me l’ha preso perché non ha provato nulla di brutto nella sua vita. Ora mi faccio coraggio e vado a vedere i corridori, è una tristezza, vado col magone, ma devo farlo per lui, era troppo affezionato».