Coldiretti Brescia

Pioggia, a Brescia in salvo campi e tavole dopo un inverno a secco

Giacomelli: "Fronteggiamo una calamità che mette sempre più a rischio i raccolti."

Pioggia, a Brescia in salvo campi e tavole dopo un inverno a secco
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L’annunciato arrivo della pioggia salva le semine degli agricoltori, e le tavole degli italiani, dopo un inverno meteorologico (da dicembre a febbraio) che in Lombardia ha fatto registrare solo 65 millimetri di pioggia caduti, l’82% in meno rispetto all’anno precedente.

Dati Arpa

É quanto afferma la Coldiretti regionale in riferimento all’atteso annuncio della pioggia e della neve al Nord, fondamentale per rimpinguare le riserve idriche che attualmente in Lombardia sono inferiori del 58% rispetto alla media del periodo 2006-2020, secondo un’analisi degli ultimi dati Arpa.

La necessità di pioggia

L’arrivo delle precipitazioni – spiega Coldiretti – è importante per salvare oltre il 30% della produzione agricola nazionale, fra pomodoro da salsa, frutta, verdura e grano, e la metà dell’allevamento che si trovano nella pianura padana, dove il fiume Po al Ponte della Becca (Pavia) fa registrare un livello idrometrico di -3,3 metri come in piena estate, ma pesanti anomalie si vedono anche nei grandi laghi lombardi. Nel bresciano, il lago d’Iseo ha una percentuale di riempimento del 7%, mentre la disponibilità di acqua del lago d'Idro è ferma al 29,4%.

“La scarsità di piogge e di accumuli di riserve idriche con cui siamo costretti a fare i conti – commenta Valter Giacomelli, presidente di Coldiretti Brescia – conferma che anche nei nostri territori la siccità è diventata una calamità che mette sempre più a rischio i raccolti. Un’ulteriore testimonianza del cambiamento climatico in atto, con una tendenza alla tropicalizzazione che ha cambiato soprattutto la distribuzione temporale e geografica delle precipitazioni”.

 

La situazione attuale

Nelle campagne – spiega Coldiretti – sono al via le prime semine primaverili come quelle di mais e soia per l’alimentazione delle stalle, per la produzione di latte e carne, che hanno bisogno di acqua per consentire la lavorazione dei terreni e la germinazione delle coltivazioni. Sulle semine – precisa Coldiretti - pesano anche i forti aumenti di costi, con più di 1 azienda agricola su 10 (11%) che a livello nazionale si trova in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività. Ma circa 1/3 del totale italiano (30%) si trova comunque costretta a lavorare in una condizione di reddito negativo. I maggiori incrementi percentuali di costi correnti (dal +170% dei concimi fino al +129% per il gasolio) – continua Coldiretti – sono proprio per le coltivazioni di cereali dal grano al mais, che servono al Paese, a causa dell’esplosione della spesa di gasolio, concimi e sementi e l’incertezza sui prezzi di vendita con le quotazioni in balia delle speculazioni di mercato. La garanzia della produzione nazionale è importante per l’approvvigionamento alimentare del Paese – afferma Coldiretti – in una situazione internazionale segnata da speculazioni con carestie nelle aree più povere e inflazione in quelli ricchi come in Italia, dove i prezzi del cibo sono saliti in media del 4,6%, con punte che vanno dal 19% per l’olio di semi alla verdura fresca che cresce del 17% e alla pasta che costa il 12% in più, secondo le elaborazioni Coldiretti su dati Istat relativi a febbraio. Aumenti dei prezzi significativi nel carrello anche per burro (+11%), frutti di mare (+10%), farina (+9%), margarina (+7%), frutta fresca (+7%), pesce fresco (+6%) e carne di pollo (+6%). La decisione dell’Unione Europea di concedere la possibilità di coltivare ulteriori 4 milioni di ettari aggiuntivi in Europa, dei quali 200mila in Italia – sottolinea Coldiretti –, dovrebbe consentire al nostro Paese di aumentare di 15 milioni di quintali la produzione di cereali necessari per ridurre la dipendenza dall’estero. In una situazione in cui l’Italia si trova obbligata a importare il 64% del grano per il pane, il 44% di quello necessario per la pasta, ma anche mais e soia, fondamentali per l’alimentazione degli animali, con i raccolti nazionali che coprono rispettivamente appena il 53% e il 27% del fabbisogno italiano, secondo l’analisi del Centro Studi Divulga.

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