Non sia il naufragio di Crotone un motivo di guerra
Suor Anna Monia Alfieri: "Ciascuno di noi deve sentirsi responsabile di quanto accaduto e deve dare risposte ai quei bambini morti, se, per davvero, li consideriamo fratelli"
"Si rimane ancora una volta sgomenti, la lingua si attacca al palato, davanti alle immagini che testimoniano l’ennesimo dramma di uomini, donne e bambini morti in mare nel tentativo di attraversare il Mediterraneo". Così inizia la lettera di Suor Anna Monia Alfieri, istiututrice e religiosa delle Marcelline, in cui riflette su quanto accaduto al largo di Crotone, e su come l'accaduto dovrebbe spingere il mondo della politica ad unirsi per trovare una soluzione concreta ed efficace al fenomeno migratorio.
La lettera di suor Anna Monia sul naufragio di Crotone
"Al male, fino a quando anche una sola stilla di umanità scorrerà nelle nostre vene, non ci abitueremo mai, non possiamo farlo e non lo dobbiamo, in nome di quel comune senso di fratellanza che ancora alberga nei nostri cuori. Mi chiedo: nella notte del mare in tempesta cosa avranno pensato questi nostri fratelli mentre gli scafisti impedivano loro di lanciare l’allarme con il cellulare? Davanti ad una simile abisso di miseria tutta umana il nostro cuore e la nostra mente si smarriscono: ci abbandoniamo, così, al linciaggio mediatico, vogliamo trovare il colpevole e dobbiamo trovarlo in casa nostra, perché trovarlo fuori casa vorrebbe dire sederci e pensare, ragionare, andare oltre la superficie. Ma, nella comunicazione veloce, nella frenesia del titolo, della notizia che spacca, le notizie si susseguono, si smentiscono l’una con l’altra: i morti escono dai dibattiti televisivi e vi entrano prepotentemente le accuse, del ministro ritenuto colpevole si invocano le dimissioni, la destra e la sinistra si accusano a vicenda, si addossa sul Governo la responsabilità morale dell’accaduto. Il solito triste copione, portato simili modo sulla scena mediatica e politica, indipendentemente dal colore del partito di maggioranza. Questo comportamento uccide per la seconda volta quegli infelici che hanno avuto la sola colpa di credere possibile la via della salvezza. Come non possiamo accettare il dramma del naufragio, così non possiamo accettare lo squallore morale dell’accusa reciproca: sicuramente verrà il tempo della chiarezza, con modalità, tempi e procedure previste dalla nostra legislazione.
Questo è , invece, il tempo del lutto durante il quale ciascuno di noi deve sentirsi responsabile di quanto accaduto e deve dare risposte ai quei bambini morti, se, per davvero, li consideriamo fratelli. Come vorrei un Paese libero e quindi capace di individuare le responsabilità prime. Innanzitutto occorre condannare, senza possibilità di appello, i responsabili di questo disastro, ossia gli scafisti, esseri senza morale, conniventi con la malavita, sciacalli che considerano uomini e donne che scappano dalla guerra e dalla fame merce da sfruttare, che rubano loro i risparmi di una vita (8mila euro costa un viaggio) stipandoli, tamquam oves ad occisionem ducti, in barconi senza acqua, senza pane, senza sicurezza, da consegnare alla morte. E’ necessario affermare con chiarezza la responsabilità degli scafisti, anche se il condannarli ci espone. Siamo disposti alla denuncia, quella vera che ci scomoda e, magari, ci costa la vita? La strumentalizzazione politica, da radical chic, è realmente insopportabile e moralmente inaccettabile. Sono 26mila le persone che hanno perso la vita, in questi anni, in mare e i colpevoli sono questi scafisti che speculano sulla miseria: loro devono stare al banco degli imputati, non altri. Ritorna quanto mai l’anatema scagliato con forza da San Giovanni Paolo II contro i mafiosi Convertitevi! Un giorno verrà il giudizio di Dio!"
L'invito di Suor Anna Monia alla politica
"Rivolgo, allora, un invito al mondo della politica: non sciupate il tempo a farvi la guerra bensì unitevi e concentratevi sulla soluzione. La strategia vincente non può che essere un’Europa unita che si ponga come obiettivo, prioritario tanto quanto quelli nel campo economico, la cessazione dei viaggi della speranza, tramite accordi con i Paesi dai quali si scappa. Occorre organizzare dei presidi in loco, censendo tutte le persone che vogliono fuggire dai loro paesi di origine per ragioni vere e che hanno il diritto ad essere accolti. Si organizzino i trasferimenti verso l’Europa di persone già censite e, al contempo, si organizzi nei paesi di accoglienza uno smistamento di queste persone che hanno diritto ad una casa, ad un lavoro, alla scuola per i propri figli. Come diciamo tutti da tempo, non possiamo tollerare più lo scempio degli scafisti, non possiamo limitarci a far sbarcare queste persone creando nuovi ghetti che generano solo nuove forme di sfruttamento, nuova delinquenza. Occorre una organizzazione, sia dove si parte sia dove si giunge, senza accontentarci più della gestione dell’emergenza. E ovviamente l’Italia non può essere lasciata sola davanti al fenomeno migratorio. E’ chiaro che Lampedusa non può ospitare l’Africa: abbiamo assistito tutti alle rimostranze di altri paesi europei ad accogliere, perché è palese che, se l’immigrazione è vissuta come un approdo di immigrati condannati ai ghetti e, quindi, alla delinquenza, ci sarà una reale fatica sul fronte dell’accoglienza"
La necessità di un aiuto vero e concreto
"Mi sia consentita un’ulteriore osservazione che nasce dalla mia esperienza diretta: spesso chi è a favore di un’accoglienza non gestita poi, di fatto, scarica sul privato, sul terzo settore la gestione e il reperimento delle risorse, non muove un dito e non promuove alcuna forma di reale integrazione. Parlo perché so quel che dico sulla base dell’esperienza che vivo con gli studenti esuli dall’ Ucraina accolti dalle scuole paritarie a loro spese, grazie all’aiuto dei privati, del terzo settore: dove sono quei politici, veri radical chic, che si riempiono la bocca di parole quali accoglienza e integrazione, senza sporcarsi realmente le mani e vivendo nei loro appartamenti nei centri storici delle nostre città o nei quartieri più alla moda? La risposta è semplice: rimangono nei loro appartamenti.
Infine l’Europa dovrebbe unire le forze ed investire in questi paesi affinché chi scappa per povertà possa vivere nel proprio paese. Molti non vorrebbero emigrare ma vorrebbero vivere dove sono nati. Gli emigranti meridionali avrebbero certamente preferito non spostarsi nelle città industriali del nord, dove assai spesso trovavano chiusura, ostilità e diffidenza. Non si affitta ai terroni. Ricordiamocelo bene. Abbiamo vissuto e viviamo la povertà del nostro Sud che ha perso i giovani e le menti migliori, condannandolo alla mafia e alla camorra. Allora impariamo dai nostri stessi errori, nell’accoglienza e nella creazione delle condizioni migliori per fermare il fenomeno migratorio. Senza speculare, ovviamente!
E infine preghiamo per quei morti e preghiamo per i familiari delle vittime perché sperimentino la vicinanza materiale dell’Occidente e sia donata loro quella pace che il mondo irride ma che rapir non può".