Legami Leali sul Garda si prende cura delle comunità
"Una comunità sicura è una comunità che si prende cura"
Storia e bellezza, turismo e strutture ricettive. È la zona del Garda Bresciano, conosciuta e apprezzata in Italia e non solo. In apparenza non manca nulla, ma quando un territorio viaggia a doppia velocità e cinque mesi all’anno “si riconosce solo come meta turistica e non come comunità” qualcosa rischia di andare perduto e qualcuno rischia di rimanere indietro. È qui che nel 2018 nasce “Legami Leali”, progetto sostenuto da Fondazione Cariplo nella IV edizione del bando Welfare di Comunità.
Da dove nasce Legami Leali
Nasce perché in questo territorio benestante sono in aumento i comportamenti di spregio delle regole, le mafie hanno potuto approfittare della scarsa coesione della comunità, sono in crescita i minori e i giovani adulti segnalati per reati commessi o in carico ai servizi di tutela. Ripristinare la qualità delle relazioni tra le persone, costruire esperienze condivise di cura della collettività, dare nuova sostanza e linfa al concetto di legalità: questi gli obiettivi di Legami Leali, ce ne parlano Paolo Guglielmi e Rossana Damiani, i responsabili del progetto.
Quali erano i problemi principali del vostro territorio ai quali volevate dare una risposta?
I numeri delle rilevazioni dei servizi sociali indicavano che erano in aumento i reati commessi da minori e i minori che entravano nell’orbita della tutela dei servizi. Il nostro è un territorio fortemente legato alla stagionalità: d’estate, che di solito è il momento in cui genitori e figli trascorrono più tempo insieme, qui gli adulti faticano a essere presenti perché è la stagione in cui si lavora di più e questo scombussola le relazioni famigliari. Ma anche più in generale, avvertivamo uno sfaldamento dei legami, una situazione di frammentazione relazionale e territoriale. Questo viaggio a due velocità, estate-inverno, nel nostro caso aveva un impatto molto forte sulla vita economica e sociale della comunità. Siamo partiti da qui e abbiamo progettato azioni, occasioni e spazi dove trovare o ricostruire questo senso di comunità che era poco sviluppato, soprattutto nei giovani e minori.
Per fare questo, ci siamo concentrati sulle risorse e non solo sui ragazzi più problematici. Che cosa esisteva di buono sul territorio? Il gruppo dei pari, innanzitutto, tutti i giovani ma anche i cittadini più adulti: risorse che abbiamo valorizzato nell’arco di tutto il progetto.
Il lavoro educativo non si è quindi orientato solo verso i minori che avevano commesso reati ma è stato ampliato a tutti. Abbiamo collaborato con tutte le scuole del territorio per introdurre il tema della legalità attraverso un percorso di laboratori, modulati in maniera diversa a seconda del ciclo di studi: per gli studenti delle scuole superiori erano più indirizzati al tema delle mafie, mentre per le scuole primarie o secondarie di primo grado sul rispetto delle regole.
Abbiamo introdotto gli educatori di territorio, figure che prima non esistevano e che si sono formate non solo sul tema della giustizia riparativa, un tema che non era mai stato affrontato prima da noi, e della legalità, ma anche sulla conoscenza del territorio stesso. Perché ognuno di loro, oltre ad avere competenze di tipo tecnico, per coinvolgere le risorse locali doveva avere mappato il territorio. Ogni coppia di educatori si è occupata di una zona specifica ed è intervenuta non solo sui minori segnalati ma anche sui coetanei nei laboratori di gruppo.
I cittadini sono stati ingaggiati attraverso eventi culturali e incontri che abbiamo realizzato con le biblioteche del territorio: abbiamo invitato esperti a parlare di legalità e attivato due BILL, biblioteche itineranti della legalità. Le BILL sono rimaste patrimonio delle biblioteche e stanno circolando in giro per la provincia di Brescia. Si smontano e rimontano facilmente perché sono modulari e sono state costruite proprio dai ragazzi durante un laboratorio.
Legami Leali ha poi recuperato e valorizzato sei immobili confiscati alla criminalità organizzata che sono stati concessi dai Comuni in gestione a Garda Sociale, l’ente capofila di Legami Leali. Sono diventati luoghi e spazi che le persone possono vivere perché sono aperti a tutti i cittadini. Tre di questi appartamenti sono stati destinati a progetti di turismo responsabile. Prima di Legami Leali, mancavano spazi per i giovani che non fossero oratori, luoghi che offrissero opportunità di incontrarsi in modo sano. I sei immobili hanno avuto un effetto moltiplicatore e nel tempo sono diventati 12, sei confiscati e sei attivati grazie al dialogo con i Comuni.
Inoltre, per promuovere il senso civico, abbiamo attivato 50 patti di collaborazione coinvolgendo 13 comuni. Un patto è un ingaggio del cittadino che si mette a disposizione della comunità per l’amministrazione di un bene comune, che può essere anche un’aiuola trascurata o per promuovere una tematica.
E ora, 4 anni dopo, che cosa è cambiato grazie agli interventi?
Non possiamo dire che non ci fossero politiche di programmazione destinate ai giovani, ma quello che è cambiato dopo Legami Leali è che non si ragiona più in ottica di Comuni ma di progetto. Abbiamo iniziato a condividere obiettivi, c’è una sinergia di politiche su tutto il territorio che prima non c’era. Grazie ai patti di collaborazione, che anche per noi prima erano uno strumento sconosciuto, le amministrazioni hanno compreso il valore di cittadini che si organizzano e collaborano per il bene comune. E i cittadini hanno dimostrato fin da subito che desideravano essere coinvolti: all’inizio avevamo paura che non ci fossero risposte, invece il primo laboratorio ci ha incoraggiato a continuare: ricordiamo una signora che si è alzata e ci ha detto:
“nella mia via i bambini non si conoscono. Perché non chiudiamo la via una volta al mese con un evento di quartiere e facciamo in modo che i bambini possano incontrarsi?”.
Abbiamo imparato in questi anni e anche da Fondazione Cariplo che le soluzioni che si trovano attivando la comunità sono molto più efficaci perché non sono imposte dall’alto.
E ora nel nostro territorio esiste una cultura diffusa sul tema dell’infiltrazione della criminalità, nonostante fossero molti gli immobili confiscati non se ne parlava tanto.
Tra tutte le innovazioni introdotte grazie al progetto, qual è stata la più significativa?
L’educatore del territorio ma anche le altre figure che abbiamo introdotto, come i “mentori di comunità” che partecipano ai laboratori. Si tratta di persone che entrano in contatto con il minore in vari modi, possono essere vicini di casa, ma anche gestori di attività e che riescono ad arrivare dove a volte le figure più “istituzionali” non arrivano.
Un'altra grande innovazione è stata la messa in rete di tutti gli istituti scolastici del distretto 11 del Garda sul tema della legalità. Siamo riusciti a mettere in piedi un’attività di sensibilizzazione davvero imponente e ora periodicamente i referenti dei sette istituti comprensivi si incontrano nel Gruppo legalità, mediato da un nostro professionista. Abbiamo fatto da “router” di incontro tra tante scuole diverse che era un obiettivo non scontato e l’aspetto più bello è che anche se cambiano i presidi e gli insegnanti il Gruppo Legalità e le competenze rimangono. Esistono anche i Gruppi Legalità di ragazzi oltre che di docenti, studenti che si fanno portatori nelle proprie classi di questi temi. Sono gruppi nati in seguito alle nostre attività di laboratorio.
Che cosa è accaduto che non era stato previsto? E cosa non è accaduto e il progetto non è riuscito a realizzare?
I Gruppi Legalità, appunto, non erano previsti e sono stati un bellissimo esito del progetto. E anche gli spazi giovani che oggi abbiamo avviato sia nei beni confiscati, sia in altri spazi dei Comuni, sono nati strada facendo: il progetto di riutilizzo degli immobili, nel nostro primo immaginario, avrebbe dovuto essere solo turistico. Poi ci siamo accorti che le esigenze del territorio e dei ragazzi erano diverse. Per quanto riguarda quello che non siamo riusciti a realizzare, l’attività di fundraising di comunità non ha avuto grandi risultati, purtroppo il Covid non ha aiutato perché per 24 mesi ha sostanzialmente bloccato gli eventi sul territorio. Ha funzionato meglio la progettazione su bandi, i comuni hanno infatti destinato risorse aggiuntive al progetto perché ne hanno riconosciuto il valore.
Quali sono state le principali difficoltà?
Quelle legate all’utilizzo degli immobili confiscati per il turismo. In parte anche in questo caso a causa del Covid, ma in generale non siamo riusciti a realizzare un brand turistico riconoscibile. E poi ci sono gli ostacoli burocratici e lo “stop tecnico” con cui ci scontriamo ora perché, terminato il progetto Legami Leali, al momento Garda Sociale deve avviare un nuovo bando per ripensare all’utilizzo turistico di questi immobili.Non è stato facile nemmeno tenere insieme tutte le scuole, erano sette istituti comprensivi, ognuno con la sua programmazione.
C’è una storia che più di ogni altra racconta la trasformazione che il progetto ha generato?
Ci viene in mente una storia legata a un patto di collaborazione. In un parco di Bedizzole c’era un campo da basket molto trasandato. Il Comune ha deciso di ristrutturarlo coinvolgendo i ragazzi che giocando in quel campo sono cresciuti, hanno scelto loro la grafica: non è arancione come tutti gli altri, ma c’è un disegno immaginato e scelto da questo giovanissimo gruppo che adesso se ne prende cura attraverso un patto di collaborazione. Si sono sentiti considerati e ingaggiati e i risultati si vedono.
Che cosa resta sul territorio che prima non c’era?
Tutto quello che è nato con Legami Leali: gli appartamenti confiscati riattivati, gli spazi per i giovani nei vari comuni, le BILL itineranti che viaggiano tra le biblioteche della provincia, gli educatori di territorio, i 50 patti di collaborazione, i Gruppi Legalità e tutte le competenze e il metodo di lavoro acquisiti. Ma anche una grande rete di relazioni, sia a livello locale, sia con enti che si occupano di legalità, coesione, cultura sul piano nazionale. Non ultimo, il nome “Legami Leali” come contenitore di iniziative utili alla comunità che i cittadini oggi riconoscono.
Quali sono i progetti futuri a cui state pensando, innescati grazie anche all’esperienza e apprendimenti del progetto?
Il lavoro degli educatori del territorio prosegue anche terminato il contributo di Fondazione Cariplo con le risorse dei Comuni dell’ambito e questa è la parte di investimento più grossa. Grazie agli spazi che ora esistono, al metodo di lavoro che abbiamo imparato e alle figure che abbiamo introdotto che rappresentano un ponte tra servizi classici e comunità educante, tra istituzioni del territorio e terzo settore esiste ora un sistema efficiente che ci consente di pensare e realizzare progetti anche con altri bandi e fonti di finanziamento nazionali e non solo. Come ad esempio i fondi destinati alle azioni di inclusione e coesione all’interno del PNRR. Fare parte di una rete consolidata e avere un metodo collaudato sono dei grandi moltiplicatori di risorse e di opportunità. E progetto dopo progetto, una condivisione dopo l’altra, diventiamo ogni giorno di più una comunità che si prende cura.
Un “patto di collaborazione” per salvare il parco di Bedizzole
Enrico Pernetta è uno dei ragazzi che ha sottoscritto il patto di collaborazione per occuparsi del parco di Bedizzole. Un luogo speciale per lui e per molti giovani del paese.
"Io e miei coetanei siamo cresciuti nel campetto del parco, abbiamo passato ogni giorno della nostra infanzia e nostra adolescenza a giocare a basket. Per noi era davvero triste vederlo degradarsi sempre di più: nel tempo nessuno tagliava più l’erba, quando pioveva si creavano pozzanghere di fango, i cestini rotti non venivano più sostituiti. Non era solo il “nostro spazio”, ero lo spazio di tutti e anche l’area giochi dei bambini era sempre più abbandonata. Abbiamo provato a far sentire le nostre voci tante volte, a segnalare i pericoli ma nessuno ci dava retta. Era saltata anche l’illuminazione e c’erano episodi di spaccio. Un giorno ho deciso di raccontare tutto e protestare sui social, non l’avevo mai fatto. Il mio post ha suscitato una valanga di commenti e un referente di Legami Leali che conoscevo mi ha contattato e mi ha detto “parliamoci perché c’è un modo per far valere le tue proteste”. Mi ha spiegato che Legami Leali mi avrebbe dato la possibilità di prendermi cura del parco insieme agli altri giovani. Quello che da anni chiedevo venisse fatto lo potevo fare io stesso!"
"In accordo con il Comune abbiamo firmato il nostro patto di collaborazione e io, insieme a due amici, Luigi Alberti e Marco Seminario, che come me avevano passato milioni di ore a giocare a basket nel campetto, abbiamo iniziato ad occuparci del parco. È nata subito una collaborazione straordinaria: il Comune ci ha fornito i cestini, i materiali per pulire, una nuova fontanella. A noi spettava il compito di tenerlo pulito e in ordine e segnalare malfunzionamenti. Le risposte erano immediate: se l’erba cresceva troppo chiamavamo l’operatore del Comune per tagliarla. Il parco ha presto cambiato forma e tutti ci hanno ringraziato. Non l’abbiamo fatto solo per noi, ma soprattutto per i ragazzi più giovani, abbiamo visto negli anni persone che prendevano strade sbagliate. Avere un luogo bello dove ritrovarsi in modo sano, fare sport, è essenziale per una piccola comunità. Il nostro più grande orgoglio è il campetto da basket: dopo aver sottoscritto il patto di collaborazione, abbiamo presentato al Comune un progetto per rimetterlo a norma completamente realizzato da noi. Inizialmente cercavamo sponsor privati, invece il Comune ci ha detto “Bellissimo, facciamolo!”. Non è un campetto normale, ma un’opera d’arte che raffigura quattro giocatori iconici di basket. All’inaugurazione sono venute 300 persone, in dieci anni al parchetto non avevamo mai visto così tanta gente! Sono venuti a vederlo anche i giocatori della nazionale di pallacanestro. Ci stanno chiamando da altri comuni perché anche loro vorrebbero fare qualcosa di analogo, abbiamo generato cura, senso di appartenenza e movimento, che è quello che desideravamo. Qualcuno ci ha detto: “Cose così le ho viste fare solo a New York”. Beh, adesso anche a Bedizzole!"