E’ stato bullo e rapinatore, oggi educa i ragazzi
La testimonianza di Daniel Zaccaro, 30enne cresciuto nella periferia milanese: dalla devianza al carcere, dal buio al riscatto
di Stefania Vezzoli
"Nei momenti più brutti della tua vita non saranno i soldi a salvarti, ma la cultura, la conoscenza". Queste parole Daniel Zaccaro, ex bullo, teppista e rapinatore oggi «redento», se le è sentite ripetere da Fiorella, una professoressa in pensione che organizzava i cineforum nel carcere di San Vittore. A 22 anni, lui pensava che l’unica cosa che potesse salvarlo fosse il lavoro, il guadagno, ma lei gli fece vedere le cose da un’altra prospettiva, incoraggiandolo a finire gli studi. «Siccome non avevo niente da perdere, mi sono fidato: arrivi a un punto, nella vita, in cui ti devi fidare», ha rivelato Zaccaro giovedì scorso nella sala civica del Foro Boario, gremita per l’occasione.
E’ stato bullo e rapinatore, oggi educa i ragazzi
Nato trent’anni fa a Quarto Oggiaro, nella periferia milanese, Daniel Zaccaro è stato protagonista della serata testimonianza promossa dall’Unità pastorale, con il patrocinio del Comune, dedicata ai genitori e ragazzi della scuola secondaria di primo grado.
In apertura dell’incontro don Giuseppe Baccanelli ha raccontato come è nata l’idea dell’incontro, anticipando che la storia di Daniel è diventata anche un libro, «Ero un bullo», scritto da Andrea Franzoso, e spiegando che l’evento vuole essere «un’occasione per conoscere qualcosa in più: non possiamo, ad esempio, demonizzare la musica trap, dobbiamo imparare a leggerla in maniera critica».
In sala anche l’assessore alla Cultura Valentina Bergo, che ha portato l’attenzione soprattutto sul tema del bullismo, fenomeno che si manifesta in età sempre più precoce. «Più se ne parla, più si condivide, più si combatte - ha sottolineato - Il bullismo si manifesta poi in dipendenze, fragilità, può essere devastante. Il dialogo è fondamentale».
Dal sogno di diventare un calciatore all’arresto per rapina
Daniel Zaccaro è arrivato a Rovato con un forte ritardo, ma il suo sorriso aperto e la sua spontaneità hanno subito conquistato la platea. «Perché racconto la mia storia? - ha esordito - L’obiettivo è semplicemente quello di riconoscersi: questo non ti fa sentire solo. La mia più grande passione è il calcio e a dieci anni ero tifosissimo dell’Inter. Giocavo nella squadra del mio quartiere, ma un bel giorno proprio l’Inter mi ha acquistato. Per me si era avverato un sogno. Peccato che quello fu un anno disastroso, non ho rispettato le aspettative che c’erano su di me. Avvertivo la pressione di mio padre, che mi vedeva già come un calciatore affermato, e questa situazione mi creava ansia da performance. Scendevo in campo con la paura di sbagliare, puntualmente sbagliavo e mio padre inveiva contro di me». Dopo il gol sbagliato nell’ultima partita di Campionato, a porta vuota, Daniel si sentì dire: «Sei scartato». «Ci sono stato malissimo, mi sentivo vuoto, un fallimento», ha raccontato.
Nello stesso periodo, ci fu il divorzio dei suoi genitori e il fatto di abitare in una periferia difficile non giocò a suo favore. Daniel cominciò a deviare: i primi comportamenti da bulletto, la scelta di percorrere la strada del «tutto subito», con furti, scippi e, a 17 anni, la prima rapina in banca, con un amico, alla quale ne sono seguite altre. «Prima hanno arrestato lui, poi me, ma anche in carcere ho continuato a portare avanti il personaggio che mi ero costruito, ero “Daniel di Quarto”, cercavo continuamente lo scontro con le autorità», ha spiegato.
Gli anni bui, fino alla svolta e all’incontro con don Claudio
I primi cinque mesi al Beccaria non sono andati bene, eppure gli educatori vedevano in Daniel delle potenzialità che lui nemmeno sapeva di avere. «Non fumavo, non facevo uso di sostanze, a scuola me la cavavo, ero in quarta e non sono mai stato bocciato: apparentemente, di facciata, avevo una vita normale, forse per questo la mia famiglia non si accorgeva di nulla», ha rivelato.
Il primo tentativo di collocazione in comunità, a Varese, ha dato il via a un periodo tumultuoso, contrassegnato da fughe e trasferimenti di nuovo in carcere, al Beccaria ma anche in altre strutture (nel frattempo era arrivata anche la condanna a tre anni): Catania, Bologna (solo per una settimana) e Bari (per sei mesi). «L’esperienza a Bari mi ha segnato, è stato lì che ho cominciato a riflettere, a realizzare che avevo 19 anni e mi stavo perdendo gli anni più belli della mia vita», ha precisato.
Tornato al Beccaria, nonostante i buoni propositi, Daniel non è riuscito a filare dritto, eppure l’educatrice ha deciso di dargli comunque una possibilità, mettendolo a fare il lavorante. Una scelta che ha dato il via a una svolta, rafforzata dall’incontro con don Claudio Burgio, cappellano del carcere e fondatore della comunità Kayros, in occasione della partita di calcio tra i detenuti e il liceo Beccaria, nel corso della quale Daniel ha segnato un gol su punizione. «Don Claudio mi dice: devi venire in comunità, abbiamo una squadra, dobbiamo vincere il Campionato - ha raccontato - Abbiamo iniziato a condividere gli interessi (il calcio, il biliardino ecc.), è nato un bel rapporto, lui mi ascoltava davvero, non ero abituato». Entrato nella comunità Kayros, Daniel ha cominciato a scoprire l’importanza di instaurare relazione autentiche (e non strumentali) con gli altri: «Potevo mostrarmi per quello che ero senza essere giudicato».
Il diploma, la laurea e la carriera di educatore
Eppure, l’odissea non era ancora finita. Daniel, mezzo innocente, è stato nuovamente arrestato e stavolta è finito a San Vittore. «E’ stato il periodo più brutto, i primi due mesi non sono mai uscito dalla mia cella. In compenso leggevo tantissimo», ha detto. Nonostante la rabbia che aveva dentro, ha deciso di seguire il consiglio di Fiorella e di riprendere gli studi. «Ho chiesto ospitalità a don Claudio da maggiorenne e ho iniziato a mettermi sotto: in un anno ho superato gli esami integrativi, quello di ammissione alla quarta, alla quinta e la maturità», ha proseguito. E non si è fermato qui: si è iscritto all’Università, a Scienze dell’educazione, si è laureato alla triennale nel 2020 e l’anno scorso a Brescia ha conseguito la laurea magistrale. «Avevo già iniziato a lavorare come educatore in comunità - ha aggiunto - Nel 2021 uno scrittore mi ha chiesto di fare un libro sulla mia storia e vado spesso nelle scuole a raccontare la mia testimonianza».
Come in un film
Sono state tantissime le domande che il pubblico ha posto a Daniel. Dal suo rapporto con i genitori («con mio padre tuttora siamo distanti. Dei ragazzi che arrivano in comunità, il 90% ha avuto un rapporto problematico col padre perché assente, disfunzionale») a quello con don Claudio («ora che ho 30 anni cerco di essere più autonomo, lui capisce che sto crescendo e comincio ad avere uno spirito critico»), dall’impatto di vivere in un quartiere problematico («le opportunità socio-economiche influiscono, ma non posso dare la colpa solo al mio quartiere: anche negli ambienti meno curati, più pericolosi, la differenza la fanno i rapporti con le persone») ai progetti futuri («io ho paura del futuro, non ho grandissime ambizioni, mi do obiettivi annuali»). Quello all’orizzonte, però, è comunque un progetto ambizioso: la vita di Daniel Zaccaro diventerà presto un film (le riprese sono previste in estate), con attori di primo piano (nel cast Matteo Oscar Giugglioli e Claudio Santamaria).