Confagricoltura Brescia, il confronto con i soci delle sezioni lattiero-casearia e suinicola
Sul tavolo le principali criticità che stanno vivendo gli allevatori bresciani.
Confagricoltura Brescia si è confrontata con i soci delle sezioni lattiero-casearia e suinicola, per fare il punto e mettere sul tavolo le principali criticità che stanno vivendo gli allevatori bresciani. Criticità che vengono evidenziate da alcuni mesi e che, se non affrontate di petto nel giro di breve, potrebbero portare a conseguenze pesanti, come il rischio di non poter più garantire la continuità produttiva di allevamenti e stalle.
Tensione tra gli allevatori
Il mercato del latte, così come quello dei suini, fino a oggi ha retto. Ma gli allevatori, in particolare quelli bresciani (ricordiamo che Brescia è la prima provincia agricola in Italia, con circa 1,3 milioni di suini e oltre 400 mila bovini), stanno vivendo dei momenti di forte tensione, a causa dei costi di produzione che stanno crescendo mese dopo mese. Al punto che, per quanto riguarda il settore lattiero caseario, le proiezioni parlano di costi in crescita di due centesimi per litro di latte a causa dell’aumento dell’energia e di circa tre centesimi per la salita delle materie prime per l’alimentazione degli animali. Cifre che fanno intuire come i 41 centesimi per litro di latte raggiunti a gennaio dal protocollo d’intesa con il ministero siano già ampiamente superati.
“Servirebbero di conseguenza almeno cinque centesimi in più al litro per coprire l’aumento dei costi - spiega il presidente di Confagricoltura Brescia Giovanni Garbelli -: grazie al tavolo latte nazionale, al quale partecipa il nostro presidente onorario Francesco Martinoni, è aperta un’interlocuzione al ministero, che si è detto disponibile a modificare il protocollo, anche perché il mercato ha ormai già fatto suoi i 41 centesimi; alcune delle principali realtà, come i caseifici del Grana Padano, li hanno addirittura superati. Occorre andare ben oltre. Il modello che proponiamo per affrontare alcune difficoltà è quello della cooperazione, che tutela maggiormente rispetto agli allevatori che si presentano da soli sul mercato”.
Peste suina africana
Anche il settore dei suini sconta le medesime dinamiche, ma con maggiori rigidità nel mercato e nelle dinamiche dei rapporti di filiera e, nelle ultime settimane, si è aggiunto lo spettro della peste suina africana (Psa). Una “bomba a orologeria”, per un settore che vale l’uno per cento del Pil nazionale. Tutte incertezze che, anche in questo caso, mettono a rischio la continuità aziendale: basti pensare che, oltre ai prezzi dell’energia raddoppiati, anche le materie prime sono come impazzite. Un esempio su tutti: la farina di soia proteica è passata da 370 a 563 euro a tonnellata.
Anche per i suini è aperto al ministero un tavolo, al quale Confagricoltura ha chiesto di avere maggiore trasparenza e dati aggiornati, con solo i casi positivi alla Psa accertati. Gli episodi al momento restano confinati in due zone circoscritte delle regioni Piemonte e Liguria.
“Gli allevamenti bresciani hanno sistemi di bio-sicurezza molto elevati - specifica il presidente Garbelli -, partiamo con standard molto elevati e, dopo le notizie d’inizio gennaio dei casi sui cinghiali, ci siamo ulteriormente premuniti. In queste ore sono attesi i commissari dell’Ue, che ci aiuteranno a capire bene come saranno investite le risorse, ovvero i 35 milioni messi a disposizione dal ministero per gli indennizzi e i 15 per la bio-sicurezza. Questi ultimi dovrebbero essere usati da Piemonte e Liguria per confinare l’area dei cinghiali”.