di Gaia Bussadori
Scrivere è terapeutico, ce lo ha insegnato la Coscienza di Zeno di Italo Svevo che tutti abbiamo letto sui banchi di scuola. Aiuta a mettere in fila i pensieri, a prenderne le distanze e, in un certo qual modo, a metabolizzare quello che ci succede. Ha pensato questo Clara Tinti, 16 anni di Manerbio studentessa al liceo Scientifico Pascal.
“Cadono pezzi di me”
Fin da piccola ha trovato nella scrittura un modo non tanto per intrattenersi quanto per esprimersi e mettersi in contatto con amici e familiari, attraverso poesie, lunghi biglietti d’auguri, lettere, ecco perché per Clara è stato naturale mettere nero su bianco quello che le è successo nell’ultimo anno. “Cadono pezzi di me” è il primo libro che la giovane studentessa ha scritto sul suo disturbo alimentare che l’ha portata ad essere ricoverata in un centro specializzato a Gussago da ottobre 2024 a febbraio 2025. Lo ha scritto per se, sono inserite molte parti del diario personale che ha scritto durante la degenza come sfogo ma anche conforto, lo ha scritto per gli altri “Ho scritto quello che avrei voluto che qualcuno mi dicesse quando mi sono ammalata”. Il libro, stampato grazie all’editor Daniela Mena per la casa editrice Gam, ha già suscitato un enorme interesse, soprattutto nelle scuole, perché quello che è successo a Clara non è così inusuale e tutti gli strumenti che possono servire a prevenire o riconoscere i disturbi alimentari sono importanti, anzi fondamentali.
L’insorgere della malattia
“Cadono pezzi di me è una testimonianza e accompagnamento di quello che è stato il mio percorso, anche attraverso le poesie introspettive sui miei sentimenti ed emozioni, ho messo a nudo la malattia a livello mentale per cancellare i troppi stereotipi sui disturbi alimentare e conseguentemente disturbi dell’umore”, ha raccontato Clara.
Dal 2022, la studentessa allora tredicenne, ha iniziato a frequentare le superiori: saranno stati il cambiamento dell’ambiente scolastico, una dieta iniziata per piacersi di più, la prima storia con un ragazzo, tante novità che forse hanno contribuito ad amplificare un senso di insicurezza già presente in Clara e che giorno dopo giorno, si è trasformato in qualcosa di più grave. Clara è una ragazza dotata di una enorme sensibilità che la spinge ad interrogarsi forse fin troppo a fondo, il non sentire di avere una sua identità, il sentirsi un po’ persa nel mondo, non riuscire a trovare il proprio posto, hanno generato un senso di inadeguatezza che unito a dinamiche passate, come al vissuto dell’infanzia, e alle caratteristiche proprie della sua personalità hanno fatto sì che nascesse il disturbo alimentare. Come spesso accade è la mamma ad accorgersi che qualcosa non andava.
Fino a quando ad un pranzo di famiglia è stato chiaro che Clara non stava bene e aveva bisogno d’aiuto.
“Ad un pranzo ho litigato con mia madre, sempre per il cibo – ha raccontato – quando mi sono chiusa in camera, mia cugina che sapeva della mia condizione ha informato mia sorella che lo ha riferito a mia madre. Le sono molto grata per questo”.
I genitori si sono allarmati ed è iniziato un percorso psico terapeutico durato un annetto, ma se le cose in superficie sembravano andar bene, in profondità non era così.
“Ho lavorato sui sintomi, ma non sulle cause scatenanti della malattia – ancora Clara – a inizio 2024 stavo bene, ogni tanto avevo delle ricadute ma non importanti, fino a quando non è rinato rinato in me il desiderio di dimagrire, quindi sono andata da una dietista. Ci sono ricaduta perché non avevo dei risultati che mi convincessero, allora ho iniziato una dieta “fai da te” e non è finita bene: il disturbo alimentare è diventato sempre più grave”.
Ad agosto 2024 Clara va dalla neuropsichiatra Federica Pagani, al reparto di Neuropsichiatria infantile degli Spedali Civili di Brescia, inizia una terapia farmacologica e a ottobre si ricovera a Gussago presso la Fondazione Richiedei che si occupa di disturbi alimentari.
Il ricovero a Gussago
All’inizio è stato difficile, Clara faticava a fare ogni cosa, pensava che lì si sarebbe ammalata ancora di più, ma più forte era la voglia di mettersi in gioco per intraprendere un percorso di guarigione.
“Durante il primo mese non potevo ricevere visite e nemmeno telefonate – ha raccontato – vedevo i miei genitori dalla finestra quando venivano a portarmi il cambio, una volta ho mostrato un cartellone con scritto “aiuto”, sono stati bravi a non cedere e portarmi a casa. Dopo il primo mese potevo ricevere visite sabato e domenica per circa 40 minuti, solo tre persone, e due chiamate da 10 minuti. All’inizio ero disperata, dopo due settimane mi sono abituata a questo stacco, mi ha fatto bene”.
Nella prima fase detta “motivazionale”, si mangia da soli e poi ci si avvicina ad un gruppo e c’è la condivisione degli obiettivi, poi si inizia a fare ginnastica dolce, è concesso passeggiare per Gussago, andare in biblioteca, al mercato sempre accompagnate, infine si può tornare a casa nel week end, prima solo in giornata e poi con pernottamento.
“Essere staccata da tutti e concentrata solo su di me, mi ha aiutata a vedere il cibo come non lo avevo mai visto – ancora Clara – sono riuscita a mangiare porzioni sempre più grande fino ad arrivare a quella giusta per me”.
Anche questo è frutto di un percorso di educazione alimentare: i ragazzi partono con porzioni piccole, che diventano sempre più adeguate a loro fino a quando imparano a porzionare da soli il cibo di cui hanno bisogno. Il libro è una presa di coscienza: ci sono gli sfoghi, i desideri, un dialogo immaginario ma al contempo reale tra la «Clara razionale» e «la Clara malata», in poche parole nero su bianco c’è un lungo percorso introspettivo.
“Le persone devono sapere che la questione non riguarda l’estetica, ma un dolore interno molto profondo che non si riesce a esprimere in altro modo, è importante l’aiuto dei professionisti, ma la guarigione parte da una volontà interna, non si può spingere, richiede tempo, fare un passo non significa guarire, le difficoltà continuano ad esserci – ha continuato a raccontare – io non mi sento guarita, è presto, devo ancora fare tanti passi a livello mentale, sono ancora rigida su tante cose, la guarigione è possibile, ne sono convinta. Il libro non è un percorso verso la guarigione, ma un segno di possibilità, nonostante le difficoltà c’è un modo, nonostante la malattia non vuol dire che non possa divertirmi e stare bene, ci sono momenti in cui sto bene (so che non sono guarita) e quando sto male me lo concedo perché questo non mi determina, i miei momenti difficili sono amplificati, difficili da gestire, mi lascio andare al dolore e poi mi riprendo, imparando a gestire le emozioni”.
La rinascita
E Clara ha trovato un modo straordinario per gestire le emozioni: scrivere.
“La nostra è una società che si concentra sull’apparenza, volevo sottolineare con il libro che tutti abbiamo delle fragilità e che non è sbagliato metterle in mostra perché non sono un difetto, sono quello che siamo, nasconderle è come nascondere se stessi, anzi quando vengono mostrate ci si sente più al sicuro perché ti senti più accettato nella tua completezza”.
Il libro racconta di questo, delle piccole gioie che si danno per scontate.
“Per farci una sorpresa ci hanno portato a Brescia a vedere le luci di Natale: è stato bellissimo. Poi siamo andati a prendere un dolce in un bar e per la prima volta mi sono resa conto di quanto andare in un bar non sia solo prendere qualcosa da mangiare, ma sia condividere un momento della giornata”.
In “Cadono pezzi di me” c’è veramente tanto: conforto per genitori che non sanno come comportarsi, amici che ne soffrono o amici che non sanno come fare, si capisce come si deve approcciare questa difficoltà.
“Questo libro non può fare magie ma può aiutare a ragionare”