Nastro d’Argento per la scenografa clarense Laura Pozzaglio
Da molti anni residente a Roma, ha vinto il premio per la miglior scenografia con «Finalmente l'alba» di Saverio Costanzo.
La gioia e l’amore per il suo lavoro sono ben evidenti già da come ne parla. L’entusiasmo e l’energia, infatti, prendono il sopravvento nel raccontare un mestiere che non è visto come una professione, ma come un ulteriore aspetto della vita quotidiana. Un qualcosa da amare e intrecciare con la realtà. Nata a Chiari negli anni ‘60, la scenografa Laura Pozzaglio, da molti anni residente a Roma, ha reso orgogliosa la città di Chiari ai Nastri d'Argento dove ha vinto il premio per la miglior scenografia con «Finalmente l'alba» di Saverio Costanzo.
Nastro d’Argento per la scenografa clarense Laura Pozzaglio
Il film vede nel cast Lily James, Rebecca Antonaci, Joe Keery, Rachel Sennott, Alba Rohrwacher e Willem Dafoe e racconta la storia di Mimosa, una giovane ragazza che si reca a Cinecittà con la sorella per partecipare ai provini per le comparse di un kolossal americano girato all'epoca della Hollywood sul Tevere e che, a sorpresa, viene scelta per un ruolo minore. Da qui, ha inizio una notte brava sui luoghi della «dolce vita», tanto bella quanto irrealistica e piena di insidie.
Ma tornando alla scenografia, quando ne parla Laura Pozzaglio si apre un mondo, fatto di idee e di persone che con lei condividono una grande passione e lavorano, costantemente, per rendere i set perfetti per gli attori.
Quando ha capito di voler fare la scenografa?
«L’ho capito in maniera particolare, negli anni. Non saprei dire un momento preciso. Non è un lavoro, è qualcosa che sento mio. Quando ho iniziato a frequentare il Politecnico di Milano non mi aspettavo potesse esistere un lavoro così differente da quelli ordinari, ma poi ne sono stata travolta e ho completato gli studi all’Accademia delle Belle Arti. Non avevo idea di tutto quello che stesse dietro ad un film o ad una pubblicità. Ed è su quest’ultima che, in verità, mi sono soffermata inizialmente. A Milano, infatti, si fa la pubblicità e a Roma, generalmente, il cinema».
Come è iniziata la sua carriera?
«Ho iniziato a lavorare per Canale 5. Era appena nato e c’era tanta freschezza. Era tutto dinamico ed eravamo un bel gruppo di ragazzi ben felici di lavorare per la televisione. Sono rimasta lì per anni: Striscia la Notizia, Mai dire Gol, e tanto altro ancora. Ho iniziato ad apprezzare la pubblicità proprio per il suo dare tanto, ma velocemente. Piccole storie che, comunque, hanno bisogno di tecnica e di esperienza. L’ho amata e sono andata avanti in questo settore per anni. La passione per il cinema, invece, c’è sempre stata ma all’inizio non l’ho inseguita».
Come mai?
«Mi sono trasferita a Roma per amore e non per lavoro, la priorità l’ho data alla famiglia. La pubblicità mi permetteva di coniugare la passione per il lavoro ai miei figli. Non volevo perdermi nulla e far parte della produzione di un film mi avrebbe portata via da casa diversi mesi. Sarebbe stata totalizzante. Però, vivere in questa città mi ha portata a capire come funzionava quel mondo e a sentirlo sempre più vicino».
E poi?
«E poi è successo che i figli sono diventati grandi, sono andati a vivere a Londra e hanno iniziato a vivere la loro vita. Io, così, mi sono buttata nel cinema. E ci sto così bene. Ho cominciato con un paio di film e poi c’è stata la serie «Diavoli», ma anche «Odio l’estate» con Aldo, Giovanni e Giacomo, la serie «The Good Mothers» e tanto altro ancora. Piano, piano mi sono inserita sempre di più nel settore. Fino ad arrivare a «Finalmente l’Alba» con Costanzo e tutto quello che c’è in ballo in questo momento».
Si aspettava il riconoscimento? Cosa pensa che abbia fatto la differenza?
«Non me lo aspettavo e ne sono davvero contenta. Il mio stile nel lavoro è sempre stato uguale e posso solo dire di averci messo tutta me stessa. Quando inizio qualcosa mi piace farla bene, ci metto la passione e l’anima. E credo che questo si sia visto. Inoltre, ho la fortuna di lavorare con persone che fanno lo stesso. Che mi aiutano in tutto e per tutto. Le maestranze del cinema sono quelle che leggete nei titoli di coda, veri artisti con grandissime competenze. Sono loro che fanno grande il cinema. Operiamo per fare in modo che la scena sia pronta per accogliere gli attori, gli creiamo un contorno dove sentirsi a proprio agio ed esprimersi al meglio».
Consiglia di vederlo a chi non lo ha ancora fatto?
«Certamente. Questo è un film interessante, ben fatto. Girato in pellicola, illuminato da un maestro delle luci e con costumi e scene ben realizzate. A volte bisogna sedersi e guardare il film con degli occhi diversi. Dovremmo insegnare ai ragazzi a non andare solo al cinema per divertirsi ma anche per pensare, per riflettere. E in questo caso gli spunti sono tanti».
Cosa c’è nel futuro?
«Nel mio futuro ci sono il cinema e i viaggi. La verità, però, è che non distinguo più la vita reale dal mio lavoro. Il cervello non si stacca mai. Stare sul set, studiare i personaggi e disegnare le scene insieme al mio team, mi riempie di gioia. E’ una sinergia continua con tutto il resto e quindi mi capita che anche quando non sono al lavoro continuo a pensare. Non c’è uno stacco da venerdì sera al lunedì mattina, non si scindono le cose. Ogni volta che iniziamo una nuova produzione, ricreiamo una grande famiglia dove si instaurano legami fortissimi e solidi, di estrema fiducia. Tante volte noi che operiamo nel settore riusciamo ad essere ancor più noi stessi e veri, dando spazio alla creatività, molto più di quanto facciamo a casa».
Registi preferiti o con i quali vorrebbe lavorare e prossimi progetti?
«Diciamo, senza fare nomi, che adoro quei registi che sanno quello che vogliono e operano con un occhio cinematografico diverso. Per quanto riguarda, invece, i progetti, a breve esce «Those about to die» di Roland Emmerich, una serie che ho amato moltissimo e che ho fatto con grande entusiasmo. Per il resto, vedremo che cosa ci riserva il domani».