testimonianza

Eroi “nascosti” ai tempi del Covid: la storia di un trasportatore di ossigeno

Il clarense Enrico Rubagotti ha vissuto l'emergenza sanitaria sulla sua pelle.

Eroi “nascosti” ai tempi del Covid: la storia di un trasportatore di ossigeno

Eroi “nascosti” ai tempi del Covid: la storia di un trasportatore di ossigeno. Il clarense Enrico Rubagotti ha vissuto l’emergenza sanitaria sulla sua pelle.

Eroi “nascosti” ai tempi del Covid

Giorni identici, monotoni. Sveglia presto e di corsa sulla strada, fino a sera. Poi a casa, nemmeno il tempo di godersi per qualche ora la famiglia. La stanchezza chiama. Bisogna andare a dormire perché dopo poche ore ricomincerà tutto. Ci sono “eroi” che nessuno ha considerato nel pieno dell’emergenza, persone straordinarie quasi quanto i medici. Trasportatori che hanno macinato chilometri e chilometri per non fare mai mancare l’ossigeno alle Case di riposo, agli ospedali, alle farmacie e ai privati in un momento in cui la richiesta ha raggiunto un incremento che nemmeno si può spiegare a parole.

Tra questi c’è anche il clarense Enrico Rubagotti, classe 1977, attualmente residente a Castrezzato con la famiglia.

La storia di un trasportatore di ossigeno

Al telefono, in uno dei primi momenti di pausa dovuto al lento calo dell’emergenza, Rubagotti ha spiegato come ha vissuto l’ultimo mese e cosa ha affrontato.

“Non potrò mai dimenticarlo – ha esordito – Mai nella vita dimenticherò ciò che ho visto in questo periodo e che mai avrei potuto immaginare. Sono più di 15 anni che lavoro per una ditta di autotrasporti che si occupa anche delle forniture di ossigeno ed è vettore per la Sapio Life. Io e i miei colleghi ci siamo trovati improvvisamene catapultati nell’emergenza Coronavirus, all’inizio senza nemmeno saperlo. Siamo 4 autisti e diamo il 300%. Mai nessuno di noi ha pensato di tirarsi indietro nonostante tutto. Viviamo il nostro lavoro come un dovere”.

Le ore in giro sono aumentate così come le bombole da trasportare per tutta la provincia di Brescia e Bergamo. Il clarense ha visto il terrore negli occhi di farmacisti che richiedevano sempre più ossigeno per i pazienti, la necessità di aiuto in quelli dei presidenti delle Case di riposo e di chi gestisce gli ordini e anche il bisogno di conforto e appoggio dei privati.

“La sera penso sempre “Altra giornata conclusa” – ha spiegato – Non più un giorno normale, ma giornate identica alle altre. Giornate lavorative che durano quasi sempre 16 ore se non di più. Solo adesso, piano piano, inizio a vedere un lento calo del lavoro. Consegnando ossigeno tra farmacie, ospedali, Case di riposo e a domicilio dai malati, in queste giornate il mio lavoro mi sta massacrando fisicamente, ma mi sta modificando nel lato umano. A stento trattengo le lacrime mentre varco la soglia di certi pazienti. Una nonnina mi ha aperto l’uscio di casa e quasi voleva abbracciarmi vedendomi entrare con la bombola d’ossigeno che forse potrà portare un po’ di sollievo a suo marito ottantenne, suo compagno di vita. Sto vedendo un mondo che non mi apparteneva e mio malgrado sto vivendo quasi in prima linea. Ogni giorno è un bollettino di guerra, guerra che stiamo combattendo tutti contro un nemico invisibile. In un mese in una casa di riposo sono morti più di 60 pazienti. Tra quei pazienti vi erano persone che conoscevo e che abitualmente scambiavo amorevoli conversazioni. Non posso cedere in questi momenti: mi sono creato una corazza di cristallo, invisibile e fragilissima che devo salvaguardare altrimenti non posso continuare a fare ciò che sto facendo. Dietro a tutte queste mascherine vedo occhi che vogliono vivere, continuare a vivere e sorridere ma non riescono, la paura è troppa. Vedere i militari portar via le casse coi propri cari, non poterli piangere e ricordarli assieme ai propri cari è straziante”.

L’impegno massimo assieme ai colleghi

Più volte, il trasportatore, ha sottolineato il massimo impegno, suo e dei colleghi. “La richiesta è aumentata esponenzialmente e abbiamo sempre fatto il possibile per cercare di accontentare tutti – ha detto – Ci siamo trovati spesso in difficoltà, senza i resi vuoti, non potevamo riempire, riconsegnare. Con noi si sono movimentati anche carabinieri, Protezione civile, ognuno ha sempre cercato di fare il possibile. Per quanto potevo, consegnavo bombole alle farmacie, soprattutto a Chiari, anche la sera, poco prima di tornare verso casa. Si innesca qualcosa dentro, senti il bisogno di dare un contributo e non pensi alla stanchezza”.

La paura e le riflessioni

Di certo, qualche volta, c’è stata anche la paura. “Siamo tutti umani e nessuno è immune al contagio – ha continuato Enrico – Ma abbiamo sempre lavorato in sicurezza e con i Dpi cercando di tutelarci il più possibile e allo stesso modo offrendo un ottimo servizio. Ritiriamo le bombole anche non sanificate, qualche rischio potrebbe sempre esserci, ma c’è dentro di noi una forza più grande che ci spinge ad andare avanti”.

Nonostante ciò, la mattina, il clarense trova sempre un momento (anche all’alba) da dedicare alla biblioteca Fausto Sabeo. Da volontario infatti manda bellissime e storiche immagine di Chiari: è un esperto ed un collezionista.

Inoltre, in questi lunghissimi viaggi, Rubagotti ha avuto modo di fare interessanti riflessioni.

“Sono sulle strade tutto il giorno – ha puntualizzato – Strade che non hanno più traffico ma carri funebre e ambulanze con la loro spaventosa voce. Tra una consegna di ossigeno e l’altra una cosa mi stacca la testa dal mio dovere… la radio, la musica e il suo intrattenimento. Mi aiuta ad affrontare queste lunghe giornate infinite. Non mi ritengo uno dei “fortunati” che ha il permesso di circolare sulle strade a qualsiasi ora del giorno o della notte ma posso essere testimone privilegiato della natura che cautamente e timidamente si sta riprendendo i suoi spazi. Questo fermo obbligatorio sta dando respiro alla nostra terra. Impariamo a fermarci e andrà tutto bene”.

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