CEROTTI AI TESORI DI BRERA: I QUADRI CONGELAVANO
Per un personaggio che punta tanto sulla comunicazione come James Bradburne, attivissimo direttore della Pinacoteca di Brera (Milano), lo smacco è stato doppio. Settimana scorsa, causa il clima ultra secco della Milano di questo inizio 2017, nelle sale del museo si è verificato quella che è stata definita una “tempesta climatica” con abbassamento dell’umidità molto al di sotto del livello di guardia.
I dipinti su tavola ne hanno immediatamente risentito e per due è stato necessario lo spostamento nel laboratorio di restauri per un immediato intervento. Per Bradburne è stato un passo falso grave nel percorso di rinnovamento e di grande rilancio del museo. Ma quel che è peggio è stato l’imbarazzo nella comunicazione. Infatti a Brera hanno pensato che la strategia migliore fosse quella di minimizzare e di gestire l’emergenza senza avvertire nessuno. È stato un autogol clamoroso, perché quando la voce è uscita dalle mura della Pinacoteca ed è arrivata sul tavolo di Armando Besio, responsabile cultura delle pagine milanesi di Repubblica, il caso è ovviamente esploso. Con annesse, scontate, dietrologie? Cos’era davvero successo? E perché la direzione di Brera ha fatto pesce in barile?
Preso alla sprovvista, Bradburne ha cercato di tranquillizzare tutti, dimostrando che la situazione era pienamente sotto controllo e che dal punto di vista del clima l’umidità era tornata nel frattempo a livelli di normalità. E con una trovata un po’ teatrale ha parlato di “tempesta perfetta”. Solo ieri però è arrivato il comunicato stampa, che con una grafica molto mesta è finito anche sull’homepage del sito della Pinacoteca. «In questi giorni», si legge, «la direzione della Pinacoteca di Brera ha provveduto a proteggere i quadri su tavola considerati più delicati a cui da sempre presta maggiore attenzione. Lo staff dei restauratori ha provvisoriamente velinato le opere per metterle in sicurezza e monitorare lo stato di conservazione dei dipinti».
Tra i quadri più colpiti dal problema climatico c’è uno dei capolavori della pinacoteca, il Cristo alla colonna di Donato Bramante, che in effetti da qualche giorno era stato tolto dalla sala che lo accoglie, mettendo in loco un comunicato che ne giustificava l’assenza. Ma anche il capolavoro di Piero della Francesca, la grande tavola celebre per l’uovo di struzzo che pende sopra la testa della Madonna, ha dovuto subire interventi protettivi: dove ci sono le giunture tra le tavole il colore rischiava di sollevarsi ed è stato fissato grazie alla tecnica della “velina giapponese”. E sono finite in “sala restauri” anche tre preziose predelle dipinte da Lazzaro Bastiani, artista veneto di fine Quattrocento, con le storie di San Gerolamo.
Resta naturalmente senza risposte la domanda cruciale: come può essere successa una simile débacle in un museo che negli ultimi anni ha mostrato sempre di muoversi con un’invidiabile efficienza? L’impianto di climatizzazione è garantito da una multinazionale come la Siemens e i tecnici sono al lavoro per cercare di spiegare l’accaduto. Ma l’episodio ha dato fiato ai tanti oppositori del modello Franceschini. Il ministro dei Beni culturali ha scelto di affidare le maggiori istituzioni museali a manager capaci di valorizzarle e di promuoverle. L’accusa che gli è sempre stata fatta è che in questo modo si mettevano in secondo piano gli aspetti conservativi: il caso Brera ora dà ragione a chi teme che un vento troppo mercantile snaturi i grandi musei italiani. Per questo nelle prime righe del comunicato Bradburne ha voluto sottolineare l’attenzione sempre prestata ai quadri su tavola. Qualcuno infatti avrebbe ragione a dubitarne. E comunque Franceschini ha intuito il pericolo ed è sceso in campo in prima persona. Ora però bisognerà spiegare con chiarezza come si possa essere scatenata una tempesta climatica nel centro di Milano.