«Quando arrampico sto veramente bene»

«Quando arrampico sto veramente bene»
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Dino Costa, pensionato monteclarense, può raccontare una storia semplice e straordinaria ad un tempo. Dopo aver praticato i campi di calcio come terzino sinistro fino ai 40 anni scopre il mondo delle arrampicate su parete e si «innamora» del mondo delle rocce o, come precisa lui, del rapporto con la «pietra». Lo abbiamo intervistato per capire insieme a lui cosa spinge tante persone ad affrontare la roccia in una attività sportiva che molti considerano «da pazzi».

Dal calcio alla roccia. Come è potuto succedere?
«Un amico, Roberto Alghisi, semplicemente mi ha chiesto se volevo provare ad arrampicarmi e ho affrontato la prima falesia a Caionvico. Lui voleva spiegarmi tutto ma io ho voluto fare subito da solo per capire se avevo affinità con la disciplina. Ho cominciato a “salire” e lo sto ancora facendo».

C’è differenza tra rocciatore e alpinista?
«Il rocciatore ha un rapporto più intimo con la pietra, ama solo la parete. Per me la montagna è spazio aperto e roccioso».

Come affronta le pareti?
«Quando apri una via, e io ne ho aperte tre, non hai niente davanti a te, c’è un rapporto esclusivo tra te e la roccia. Si capisce anche attraverso gli sbagli quale è il percorso ideale. Ci sono poi vie già tracciate ma ogni rocciatore deve scegliere il percorso più congeniale alle proprie capacità».

Quale è la parete più difficile che ha affrontato?
«Probabilmente una calanque nei pressi di Marsiglia ma anche la via di Manolo nei pressi di Arco di Trento o altre tracciate da rocciatori davvero impegnative».

Che parti del corpo vengono sollecitate maggiormente durate le arrampicate?
«Per la verità l’aspetto più importante è quello psicologico. E’ la testa che deve essere in perfetta forma, deve tenere; e poi fondamentali sono le gambe».

Cosa significa «la testa deve tenere»?
«Ci sono momenti di particolare difficoltà in cui la testa durante un’arrampicata ti suggerisce di lasciarti andare, di buttarti giù, di mollare se senti che non ce la fai più e in quei momenti hai ancora qualche secondo di forza per superare l’ostacolo, in quei momenti devi controllare la paura, perchè la paura è sempre vicino a te quando arrampichi. La paura deve essere una costante che ti permette di essere razionale perchè altrimenti si fanno delle sciocchezze ed è meglio evitare. Bisogna avere la coscienza dei propri limiti e il rispetto della parete che si affronta. Fondamentale è la ricerca dei propri limiti mentre si affronta la roccia. A volte si supera un ostacolo, a volte no. E’ vero anche che quando sei in arrampicata ci vuoi provare comunque a superare gli ostacoli che sembrano insormontabili. Durante una scalata nei pressi di Arco mi sono imbattuto in una via segnata male e ho fatto circa quaranta metri senza alcuna protezione senza poter tornare indietro, potevo solo salire rischiando un volo di 80 metri. A volte succede che riesci a scendere e a impostare una nuova salita con maggiore sicurezza. Ogni scalata è un’esperienza unica».

Quante pareti affronta in un anno?
«Sinceramente ho perso il conto. Nel periodo invernale sono un po’ fermo ma appena si apre la stagione riparto alla grande. Quando lavoravo non vedevo l’ora che arrivasse il fine settimana per raggiungere le pareti. Le rocce diventavano un’oasi per la mia mente. Quando stai arrampicando non puoi più pensare a niente, se hai problemi particolari che girano per la testa non riesci a salire. Testa libera e salita, con movimenti lenti che sono quasi una danza in armonia con la roccia».

A chi vi vede arrampicare viene spesso da dire «ma chi ve lo fa fare?». E invece voi state benissimo...
«Infatti, sono momenti bellissimi, io sto davvero bene a contatto con i “sassi”, mi piace salire anche se non è fondamentale che io arrivi alla meta. E’ importante che io ci provi».

Oltre a quella per le arrampicate ha altre passioni?
«Mi piace tantissimo ascoltare musica, non so suonare alcun strumento ma adoro la musica e credo che lo sforzo del musicista sullo strumento sia paragonabile a quello del rocciatore durante la scalata. Le mani e la testa devono lavorare in armonia».

Lei si è mai trovato in difficoltà, in situazioni rischiose?
«In un’occasione ho dovuto lasciarmi cadere nel vuoto, in un’altra sono riuscito a superare un ostacolo facendo forza sull’unghia del pollice destro conficcata in una crepa... Sì, davvero momenti indimenticabili».

Ritiene che per i giovani quello delle arrampicate sia un mondo importante da un punto di vista educativo?
«Mi piacerebbe organizzare a Montichiari corsi di arrampicata per i più giovani. Il rapporto con la roccia ti insegna a conoscere e rispettare i tuoi limiti, durante una salita non puoi mentire a te stesso. Affrontare la roccia è un’esperienza davvero formativa».


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