«Ho perso il lavoro, mi prostituisco per poter crescere mio figlio»

«Ho perso il lavoro, mi prostituisco per poter crescere mio figlio»
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Il fenomeno della prostituzione è da sempre un argomento dibattuto nelle diverse sedi politiche e legislative del nostro paese. Un fenomeno che da decenni interessa la ex strada statale 525 in cui la presenza di lucciole, soprattutto nel tratto che ricade nel comune di Osio Sotto, è purtroppo una costante. «Occhio non vede, cuore non duole» recita il detto, ma in strada l’occhio vede e il cuore «duole». È un tiepido sabato sera, uno di quelli che ti ricorda come l’inverno sia ormai finito e l’estate alle porte. Dopo aver provveduto a effettuare la spesa settimanale, dal parcheggio del Carrefour, mi dirigo verso Bergamo. Una svolta sulla provinciale mi ritrovo sulla corsia di accelerazione per immettermi in carreggiata. Vedo una donna, al centro della strada, che improvvisa un balletto su passi di salsa. Incuriosita dalla sua inusuale eleganza e dal suo vissuto accendo le frecce e accosto. È un’italiana di 28 anni, alta, formosa e bella. Indossa un vestito in pizzo, nero, attillato e scollato. Le chiedo di lei e dopo un iniziale e comprensibile momento di diffidenza decide di interrompere il suo balletto e di raggiungermi, a bordo della sua Smart, in un parcheggio lì vicino, stupita dalla mia curiosità e dall’attenzione prestatole. Chantal, questo il suo nome d’arte, racconta così la sua esperienza di prostituzione volontaria.

Perché hai deciso di prostituirti?
«Nel 2009 a causa della crisi ho perso il mio lavoro da segreteria in un’azienda che si occupa di verniciatura così, ritrovandomi con un mutuo da pagare e un bambino di due anni da mantenere, ho deciso di prostituirmi. Ai miei ho sempre detto di lavorare come cameriera in un bar in modo che potessero tenermi il bambino nelle ore notturne. Di giorno trasferisco il mio “falò” su alcuni siti d’incontri dove conosco numerosi clienti. Studiare informatica mi è servito», aggiunge ridendo.

Quali difficoltà hai incontrato nell’intraprendere questo lavoro?
«Diciamo che per me non c’era posto sulla strada. Bisogna avere una sorta di autorizzazione, una protezione. E pagare, ovviamente, per quella protezione. Se non hai la protezione, le prostitute stesse sono autorizzate ad aggredirti e a cacciarti dal marciapiede su cui ti sei messa a lavorare. Una volta sono stata aggredita da alcune prostitute che lavoravano sul mio stesso marciapiede. Ma preferisco non parlarne. Per questo motivo giro su diverse postazioni e attendo i miei clienti in auto salvo rari momenti in cui animo la strada».

Chi sono i tuoi clienti? O meglio cosa fanno, quanti anni hanno?
«Sono prevalentemente uomini d’affari o camionisti. La maggior parte di loro sono uomini divorziati oppure infelicemente sposati. In genere sono insicuri e stressati e guardano al sesso come una terapia. Ho tutte le fasce d’età: giovani, uomini di mezza età sposati, con figli o senza figli, divorziati, separati. Persino, a volte, anziani sui settant’anni, ma io con loro non vado. Pensano che tutto sia loro garantito, quando vengono da noi. E ti trovi davanti alle richieste più assurde».

Cosa ti auguri per tuo figlio?
«Spero che possa studiare e diventare una persona importante. Voglio che non gli manchi nulla. Voglio che non perda mai l’amore per i libri. Per me i libri non sono mai stati semplici libri. Quando avevo dieci anni sapevo poco, sia del mondo che di me stessa. Sapevo che con la scuola non c’era verso d’andare d’accordo, e pure con i coetanei faticavo a socializzare. Però sapevo che quando tutto andava a catafascio, esisteva un luogo in cui rifugiarsi. Voglio che anche per lui siano un rifugio. Per me lo sono ancora».

Hai mai pensato di cercarti un vero lavoro?
«Questo per me è un vero lavoro. Sono fiera di essere chiamata “puttana” perché la “puttana” guadagna sui 1800 euro al mese senza dover pagare le tasse. In più conosco uomini importanti che spesso e volentieri mi riempiono di regali. Magari un giorno uno di loro mi sposa come in Pretty Woman. Che poi… Non sono solo una puttana ma anche una psicologa. Loro con me si confidano. Ti consiglio questo lavoro, sai ascoltare. Vedrai che con il tempo diventerai cinica e indifferente anche tu».

Improvvisamente l’inter vista si interrompe, una lacrima irradia un volto che si fa sempre più cupo. Mi abbraccia e scoppia in un pianto liberatorio, chiedendomi di andare, mi chiede scusa per quell’invito e mi esorta a pregare per lei e per suo figlio. Lei è una donna, una mamma, una figlia. È una persona che nutre ancora dei sogni al di là di un marciapiede. Quante incomprensioni eviteremmo se solo non ci fermassimo all’apparenza, se solo ci interrogassimo sui silenzi, sulle frasi lasciate a metà, sugli sguardi distolti per evitare di piangere. Chantal continuerà a prostituirsi nell’illusoria speranza che qualcuno un giorno possa privarla non solo dei vestiti ma anche delle proprie paure che si celano dietro una maschera di cinismo, sicurezza e indifferenza.


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