Per anni si è parlato della velocità di caricamento come una delle metriche chiave per riuscire a misurare le prestazioni tecniche di un sito. Bastava assicurarsi che la pagina si aprisse in pochi secondi e Google la premiava con dei posizionamenti migliori.
Oggi lo scenario è cambiato anche con l’introduzione della metrica Interaction to Next Paint (INP), diventata a pieno titolo parte dei Core Web Vitals, che indica come non sia più sufficiente che una pagina si carichi velocemente, serve che sia reattiva, prevedibile e che dia all’utente la sensazione di un’esperienza fluida, senza frizioni.
L’INP misura il tempo che intercorre tra un’azione dell’utente (clic, tocco, interazione da tastiera) e il momento in cui lo schermo riflette visivamente la risposta.
È un indicatore che fotografa la reattività complessiva di un sito e che mette al centro non più la sola velocità di caricamento iniziale, ma la qualità dell’interazione durante tutta la navigazione.
Dal tempo di caricamento all’esperienza d’uso
Con il PageSpeed Insight si è a lungo guardato al tempo di caricamento, come se bastasse una homepage leggera per garantire la soddisfazione del visitatore.
In realtà, il vero problema emerge nel momento in cui l’utente inizia a interagire: un bottone che risponde in ritardo, un menu che si apre con micro-lag, un form che si blocca durante la compilazione.
Questi dettagli, apparentemente secondari, diventano oggi centrali perché rappresentano la differenza tra un sito che viene percepito come affidabile e uno che genera frustrazione.
Google li misura, e se prima un rallentamento di mezzo secondo era tollerato, ora diventa una variabile che può influenzare direttamente il posizionamento.
L’importanza della soglia INP nel 2025
La nuova metrica non è più una sperimentazione, ma uno standard. Google ha fissato soglie precise: un valore inferiore a 200 ms è considerato buono, tra i 200 e i 500 ms rientra nell’accettabile, mentre oltre i 500 ms la reattività è giudicata insoddisfacente.
Il punto critico è che queste soglie si applicano alla totalità delle interazioni, non solo al primo caricamento.
Per chi gestisce e ottimizza siti web, questo indica un cambio di paradigma: non basta ottimizzare le immagini o ridurre il peso delle risorse, bisogna lavorare sul codice, sulla gestione degli script, sull’ordine di esecuzione e sulla fluidità complessiva delle animazioni.
Come spiega Isan Hydi, CEO di Wolf Agency:
“Google ha spostato l’attenzione da quanto è veloce una pagina ad aprirsi a quanto è piacevole usarla. Questo significa che il lavoro SEO oggi non può più limitarsi a un’analisi tecnica del caricamento: serve un approccio integrato tra sviluppo, UX e contenuto, perché è l’esperienza nel suo insieme che viene valutata”.
Le implicazioni per la SEO tecnica
Con l’introduzione di INP, la SEO tecnica assume un ruolo ancora più strategico. Minificare CSS e JavaScript, ottimizzare le immagini e ridurre le richieste HTTP restano attività fondamentali, ma non sufficienti.
La sfida si gioca su fronti più sottili, come:
- eliminare script non essenziali che rallentano la risposta del sito;
- utilizzare tecniche di lazy loading intelligenti per contenuti interattivi;
- migliorare la gestione degli eventi per ridurre il tempo di risposta ai clic;
- alleggerire framework troppo complessi che creano ritardi nelle transizioni.
Il risultato non è solo un miglioramento delle metriche SEO, ma un vantaggio competitivo: un sito che risponde con fluidità diventa naturalmente più gradevole da usare, aumenta la probabilità di conversione e riduce l’abbandono.
UX e SEO: due discipline che si fondono
Con INP, la distanza tra UX design e SEO si assottiglia fino quasi a scomparire. Un’interfaccia bella ma lenta non funziona, così come un sito velocissimo ma caotico non conquista l’utente.
L’ottimizzazione deve abbracciare entrambi i livelli.
Chi progetta contenuti digitali deve pensare a un flusso senza intoppi: pulsanti posizionati con logica, testi scansionabili, immagini ottimizzate ma di qualità, micro-interazioni curate. Ogni elemento diventa parte della percezione complessiva di reattività e quindi contribuisce al punteggio INP.
Il ruolo della misurazione costante
Uno degli errori più comuni è pensare all’ottimizzazione come a un’attività una tantum. In realtà, l’INP è una metrica che va monitorata continuamente, perché varia in base al dispositivo, alla connessione, alle condizioni reali di utilizzo.
Strumenti come Lighthouse, Chrome User Experience Report o PageSpeed Insights permettono di raccogliere dati affidabili, ma ciò che conta è integrare questi controlli nel ciclo di sviluppo. Un aggiornamento di CMS, un nuovo plugin, un banner pubblicitario possono peggiorare i tempi di risposta senza che ci se ne accorga.
Reattività come fattore di fiducia
Un sito che risponde subito dà l’impressione di affidabilità. L’utente percepisce un’attenzione al dettaglio che si riflette nella fiducia verso il brand. Al contrario, un’interfaccia che si blocca o che mostra ritardi minimi ma costanti trasmette trascuratezza, e la fiducia si erode in silenzio.
Su questo aspetto interviene Brian Gjermeni, SEO Specialist di Wolf Agency che evidenzia:
“INP non è un dettaglio tecnico: è ciò che l’utente sente a ogni tap. Se la risposta arriva entro 200 ms, percepisce controllo e qualità; inoltre, cresce la frustrazione e cala la fiducia. Monitorarlo in continuo e progettare interfacce reattive è un vantaggio competitivo: meno frizioni, più azioni completate, più valore per il brand. È il passaggio dalla “pagina veloce” al “prodotto piacevole da usare”.
Un sito ottimizzato dal punto di vista tecnico può fallire se i contenuti non sono all’altezza. L’INP, infatti, premia i siti che offrono un’esperienza fluida, ma se i testi non sono chiari o le informazioni non sono accessibili, la qualità percepita crolla.
Per questo oltre alle attività tecniche bisogna continuare a ribadire la centralità di quelle semantiche ed editoriali: occorre scrivere pensando alla leggibilità, alla chiarezza delle call-to-action, alla facilità con cui l’utente riesce a muoversi tra un’informazione e l’altra.
Google nel tempo continuerà a introdurre metriche sempre più legate all’esperienza reale degli utenti, spostando progressivamente l’attenzione dalla velocità pura all’efficienza complessiva.
Chi lavora oggi su questa metrica non deve vederla come un ostacolo, ma come un’opportunità: ogni miglioramento dell’INP ha un impatto diretto sulla soddisfazione dell’utente e, di conseguenza, sulla capacità del brand di generare fiducia e conversioni.