II Comune vince il ricorso al Tar sulla faccenda dei terreni del polo scolastico: l’Istituto Diocesano deve 130mila euro di risarcimento.
Terreni del polo scolastico, il comune vince il ricorso al Tar
Si potrebbe dire 1 a 1 palla al centro nella partita che si sta giocando ormai da anni tra il Comune di San Gervasio e l’Istituto per il Sostentamento del Clero sulla faccenda dei terreni del polo scolastico.
Nei giorni scorsi è arrivata infatti la sentenza del Tar al ricorso presentato dall’Amministrazione del 2021 che accoglie le motivazioni del Municipio e che gli riconosce un maxi risarcimento di 130mila euro a fronte dei 312mila che era stato condannato a versare all’Istituto dalla sentenza precedente. Una questione spinosa che ha gravato sulle casse del Comune e che ora si sta giocando a suon di carte bollate.
La vicenda
La questione risale al 2008 quando tra il Comune e l’Istituto è stata stipulata una convenzione urbanistica secondo la quale l’Istituto avrebbe ceduto gratuitamente i terreni agricoli di sua proprietà dove ora sorge il polo scolastico in cambio del cambio di destinazione d’uso di altre due aree passando da una destinazione agricola ad una residenziale e commerciale artigianale. Una di queste in Via Parco delle Rimembranze è composta da un terreno diviso in due, il primo è dietro la chiesetta, l’altro è a fianco e vennero classificati da agricoli ad area per edilizia economica popolare. Una soluzione che giovava ad entrambe le parti: il Comune si sarebbe trovato l’area per costruire la scuola e aree per l’edilizia a prezzi calmierati che non erano presenti nel Pgt di allora, aspetto che interessava anche all’Istituto che aveva tra i suoi obiettivi quello delle case «popolari», con una netta convenienza economica e strategica di entrambe le parti. Oltre alla variazione a costo zero, avrebbe poi ottenuto lo scorporo degli oneri a costo zero in cambio dell’area per la scuola.
Nella convenzione era previsto che entro 5 anni l’Istituto avrebbe dovuto attuare il piano di lottizzazione, e ha depositato la fideiussione a garanzia delle opere, come le strade, fognature, parcheggi, del valore di 310.216,570 mila euro. Scadenza quindi fissata al 2013 poi prorogata d’ufficio in base al decreto legge del «Fare» fino al 2016. Ma già nel 2014 l’Istituto aveva chiesto e scritto più volte al comune, guidato allora dal sindaco Giacomo Morandi, di poter trovare una soluzione alla faccenda perché sopraggiunta la crisi economica ed edilizia non avrebbe più proceduto alla costruzione delle case e chiedeva dunque che venisse restituita la fideiussione e che le aree ritornassero agricole, non dovendo più versare l’Imu, lasciando in cambio l’area dove nel frattempo era stata costruita la scuola. Lettera a cui agli atti non è mai stata data risposta, così come ad ulteriori richieste di incontro tanto che, a convenzione scaduta, l’Istituto ha fatto causa al Comune chiedendo il risarcimento dei danni e il Tar gli ha dato ragione: non avendo realizzato i lavori il Comune avrebbe avuto l’area della scuola a costo zero, senza vantaggi per l’ente ecclesiastico. Negli anni l’iter è andato avanti ed è stato preso in mano dall’Amministrazione guidata dal sindaco James Scaburri a suon di carte bollate fino alla sentenza del Consiglio di Stato del luglio 2021 che aveva condannato il Comune al risarcimento dei 312mila euro di fideiussione più interessi all’Istituto. Una doccia fredda per l’Amministrazione che aveva deciso fin dal suo insediamento di provare una nuova via per cercare di risolvere la situazione, tentando la via del dialogo, ma l’Istituto, a cui è pesato l’immobilismo degli anni precedenti, ha rifiutato la mediazione, portando avanti le azioni legali, facendo ricorso al Tar.
Allora il Tar aveva dato torto al Comune e dato ragione alla richiesta dell’Istituto perché non è stata attuata la convenzione. Nel ricorso però l’Istituto aveva anche fatto leva anche sull’impossibilità di attuare il piano di lottizzazione per colpa dell’allora Amministrazione Mantelli perché non erano a conoscenza dell’esistenza del depuratore: stando alla normativa non avrebbe potuto costruire vicino ad esso delle abitazioni e quindi la mancata realizzazione sarebbe stata obbligata e non una scelta. Un aspetto che però non sarebbe veritiero perché nei progetti era evidente la presenza del depuratore, tanto che aree verdi a compensazione e i parcheggi erano stati collocati a «protezione» del depuratore per fare in modo che le abitazioni fossero oltre i 150 metri di distanza. Quindi non sarebbe colpa del Comune se non si è realizzata la convenzione.
La sentenza
Proprio su questo punto sembra fare leva la sentenza di questi giorni che in 25 pagine ricostruisce tutta la faccenda e che si chiude con: «Il ricorso è meritevole di parziale accoglimento nei termini di cui in motivazione, con conseguente condanna dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero a corrispondere al Comune di San Gervasio Bresciano a titolo di risarcimento del danno la somma di € 130.000 equitativamente determinata».
Le premesse sono legate tutte alla presenza del vincolo di inedificabilità, che l’Istituto a quanto pare non poteva non conoscere.
«Non appare quindi condivisibile la tesi difensiva adottata in giudizio dall’Istituto, che vorrebbe ricondurre la mancata esecuzione del Programma Integrato di intervento alla presenza di un vincolo di inedificabilità non considerato o non palesato dal Comune . si legge nella sentenza – In realtà, come si è visto sopra, l’Istituto certamente sapeva del vincolo, tanto da averlo considerato nel progetto. Ma anche ammettendo che tra le parti la presenza del vincolo fosse stata inizialmente sottovalutata, una volta intervenuta la piena consapevolezza delle limitazioni che il vincolo comportava per l’attuazione dell’operazione urbanistica il dovere di buona fede imponeva all’Istituto di elaborare e sottoporre al Comune soluzioni equivalenti o prossime all’equivalenza. Così però non è stato. La vera ragione per la quale non si è proceduto all’esecuzione di quanto previsto nella convenzione deve quindi essere individuata in una nuova valutazione della convenienza economica, che non era più quella ipotizzata inizialmente, considerata la crisi del mercato immobiliare».
Da qui il risarcimento.
«La violazione del dovere di buona fede e correttezza da parte dell’Istituto, configurabile quale vero e proprio inadempimento, comporta in capo allo stesso il dovere di risarcire i danni che siano derivati alla controparte».
La partita non è finita perché ora l’Istituto avrà la possibilità di presentare un ulteriore ricorso al Consiglio di Stato che possa rivedere la sentenza e quindi il risarcimento rimane per ora solo sulla carta.
«Non possiamo ancora cantare vittoria però per ora l’abbiamo vinta – ha detto il consigliere delegato Giampaolo Mantelli – restiamo in attesa per capire se l’Istituto farà appello al Consiglio di Stato come è sua facoltà anche se la sentenza pare molto chiara e sembra dare poco spazio a ulteriori ricorsi».
Una vicenda che aveva pesato non poco sul municipio e sulle sue casse, che hanno visto uscire i 312mila euro alla luce della precedente sentenza, andando a gravare sui conti già in difficoltà del municipio.