Per chiunque abbia figli in età scolare, il tema delle attività estive è una realtà quotidiana. Il tempo libero di qualità non è solo svago ma un’opportunità preziosa per l’apprendimento, la socializzazione e lo sviluppo di competenze. Eppure, un’indagine condotta da «Openpolis» prendendo in analisi i numeri più recenti riferiti al 2021, ha rivelato un dato sorprendente: appena il 9,1% dei minori nella fascia d’età 3-14 anni frequenta un centro estivo. Cifre, va detto, che non calzano alla perfezione con la situazione reale: diversi centri estivi in Comuni medio-piccoli non ci risultano essere stati inseriti nel database pubblicato dalla fondazione sulla base di dati Sogei e Ministero dell’Istruzione. Ma il «nocciolo» politico della questione resta: in pochissimi paesi la percentuale di posti censiti è utile a una «serena» conciliazione tra esigenze di vita lavorativa e familiare d’estate. Da qui la «consueta» caccia al centro estivo che anima le notti insonni di mamme e papà per settimane, prima dell’ultima campanella.
La “summer learning loss”
La problematica non si esaurisce nella necessità dei genitori di conciliare lavoro o famiglia e nel gestire i figli nelle vacanze che sono fra le più lunghe d’Europa. Non si tratta solo di passare il tempo: in estate si impara a socializzare sviluppando nuove competenze. Al contrario, esiste un aspetto negativo più rilevante, noto agli specialisti come «summer learning loss»: la regressione delle conoscenze acquisite nell’anno scolastico. Una perdita che avviene quando i bambini sono lontani dalla scuola per periodi prolungati come succede d’estate.
La situazione in provincia
Ecco perché la questione è di stretta attualità: così abbiamo provato a tracciare una fotografia della nostra provincia.
L’analisi rivela che la dimensione demografica influenza la diffusione del servizio. Percentuali più alte si raggiungono nei paesi fino a 3mila abitanti dove il numero di iscritti ogni 100 bambini oscilla tra 13 e 14. Nel bresciano è Borgo San Giacomo la realtà con l’offerta più ampia di questo tipo di servizi, capace di accogliere oltre 46 utenti ogni 100 bambini. Seguono, fra l’Ovest e la «Bassa» con numeri che raggiungono o superano i 20 utenti per minori, Dello (16%), Verolanuova (22,6%) e spostandoci verso il lago di Garda Manerba e Moniga.
L’Italia e Brescia
Tra i soli capoluoghi, Cuneo spicca con oltre 50 utenti di servizi pre e post scuola ogni 100 ragazzi. Seguono Venezia (46,4) e Rieti (32,4) mentre Brescia si posiziona molto al di sotto non oltrepassando il 17%. Ancora: 25 capoluoghi su 88 (tolto le regioni a statuto speciale non comprese nella rilevazione) non raggiungono la soglia di un utente ogni 100 bambini.
L’Ovest e la Franciacorta rispecchiano la fotografia nazionale dove il Nord-Ovest non va oltre il 12,5% poco più di un bambino su dieci.
Costi importanti: 66,5 euro a settimana, a Brescia
Molte sono le riflessioni che si possono fare. Innanzitutto economiche: per i centri nelle strutture private si spendono circa 704 euro al mese a figlio cifra che scende a 396 in quelle pubbliche secondo i dati di Federconsumatori. A Brescia e provincia il costo è di 66,5 euro in media a settimana. A mitigare ci sono alcuni incentivi (come il bonus centri estivi ma riservato solo ai figli dei dipendenti pubblici) e, come abbiamo potuto vedere, prezzi che per alcuni centri variano per fasce di reddito. «Cifre comunque insostenibili per tante famiglie» come lamentano le associazioni dei genitori.
Proprio durante la pausa estiva che il divario sociale si allarga. Le ricerche dimostrano che gli studenti più agiati possono migliorare le proprie competenze sfruttando le opportunità educative estive. Al contrario, i coetanei con minori disponibilità economiche registrano una perdita di competenze. Ecco che le vacanze estive rischiano di ampliare un gap già esistente